E’ come se qualcuno, in questo maledetto 2020 ci volesse avvertire, ci mandasse cattivi messaggi. Come a dirci che il tempo passa, inesorabile, spietato, non guarda in faccia nessuno.
E’ morto Paolo Rossi, la prima notizia del mattino. “Nooo” pensi, non è possibile. E invece è vero, com’era vera la notizia di Maradona. Paolo Rossi, Pablito, l’eroe di un’estate infinita, il simbolo di una generazione. Se Maradona aveva vinto da solo un Mondiale, Pablito l’aveva firmato, il “suo” Mondiale, che resterà comunque per certi versi irripetibile. Tre gol al Brasile, non li aveva mai fatti nessuno. Poi 2 alla Polonia e infine il primo alla Germania, nella finalissima. E l’Italia di Bearzot in cima al mondo, con Pertini che si alza in tribuna e un popolo in strada a festeggiare.
La nostra cartolina aveva il volto timido di Paolo Rossi, l’eroe bambino, uscito dal tunnel della squalifica, giusto in tempo per salire sull’aereo azzurro.
Paolo Rossi se n’è andato nella notte, certe malattie non guardano in faccia nessuno. E solo allora ti viene in mente che da un po’ non era più in Tv a commentare. L’aveva fatto per una vita, prima a Sky, poi in Rai. Stile sobrio, misurato, essenziale, com’era quando giocava. E solo adesso pensi che, in realtà, le ultime apparizioni era parso un po’ stanco, affaticato.
Poi basta. Ma non era molto, ha “giocato” fino a poco tempo fa. “Tumore ai polmoni”, sta scritto da qualche parte. Se l’è portato via nella notte, portandoci via un altro pezzo della nostra storia. Della nostra gioventù. Facile adesso immaginarlo vicino a “papà” Bearzot, l’uomo che l’aveva difeso e portato al Mondiale, un uomo che non è mai stato soltanto un allenatore. “Gli devo tutto” ha sempre detto Pablito. E ci sarà pure GB Fabbri, il suo “papà” del Vicenza. E Dieguito. Perchè qualche campo su cui giocare e segnare, c’è di sicuro anche lassù.
I suoi ultimi gol con la maglia dell’Hellas
Raffaele Tomelleri
Lui usciva, spesso per ultimo, non era solo un vezzo, proprio no. “Sai, mi devono massaggiare per bene” ti diceva sorridendo. Usciva per ultimo, ma non scappava quasi mai. “Aspettami, parliamo dopo” diceva Pablito. Erano i tempi in cui i giocatori li aspettavi lì fuori dagli spogliatoi, nel cortile del Bentegodi. Erano i tempi in cui andavi al campo e l’intervista la facevi, i “filtri” degli uffici stampa non c’erano ancora, per fortuna.
Andavi lì e parlavi con chi volevi. Mai detto di no, Paolorossi, scritto tutto unito.
Semplice, sembrava perfino timido, a volte. Eppure era Pablito in tutto il mondo. Campione del mondo. “Se mi aspetti, dopo l’allenamento parliamo”.
E quando usciva, lì,appoggiati alla macchina, ti raccontava. Al Verona c’era arrivato in cambio di Galderisi, dopo i Mondiali di Messico ‘86, la fine del ciclo di Bearzot. Lui, il cittì, l’aveva portato in Messico, anche se sapeva che Pablito s’era già fermato. Ma gli aveva detto “vieni”, perchè la riconoscenza (a volte) non è solo una parola vuota. Esiste, per davvero. E Rossi era andato, un po’ capitano non giocatore. Aveva pagato un prezzo troppo alto, al successo. Le ginocchia lo tormentavano, “non so quanto posso andare avanti”, raccontava sempre a Verona. E infatti, durò una sola stagione. “Soffriva, doveva gestirsi, ma quando giocava era unico per come faceva muovere la squadra, per l’intelligenza di gioco” ha sempre detto Bagnoli.
Al Verona, aveva dato i suoi ultimi sprazzi. Intelligenza, esperienza, classe. Aveva segnato anche 4 gol. Il più bello, al Torino, era gennaio, campo impraticabile, un 2-1 nel finale. Era stato un gol “alla Pablito”, vecchia maniera. Un guizzo dei suoi, per arrivare prima di tutti,prima degli altri, un numero in cui (forse) nessuno era mai stato più bravo.
Campione dell’attimo fuggente, lui. Ci aveva abituato ad arrivare prima, lo aspettavi e lui c’era, quella palla che passava in area e sembrava di nessuno. Era sua. Come al Vicenza. O alla Juve, più tardi. Come soprattutto in Nazionale. Gol al Brasile, alla Polonia, alla Germania. Talmente veloce che ti mandava a rivedere il replay, per capire che sì, l’ultimo tocco era stato suo.
Ecco, l’ultimo gol “alla Pablito” l’aveva segnato con la maglia dell’Hellas. Prima di arrendersi. “MI opero ancora, spero mi lascino tornare” aveva detto salutando, alla fine della stagione. Invece, l’intervento era servito soltanto a dargli un’illusione. Aveva smesso. Qualche partita, “ma è una sofferenza atroce” diceva sempre. Allora Tv, l’azienda in Toscana, la sua vita normale, “perchè io sono così” diceva. E’ sempre arrivato un attimo prima degli altri. E prima degli altri, Pablito è scappato via.
Di Gennaro, Galderisi e Verza: “E’ stato un campione di gol ma soprattutto come uomo”
Antonio Di Gennaro ha condiviso tanti momenti con Paolo Rossi. Da giocatore in Nazionale e al Verona e poi da commentatore tv a Sky, Mediaset e alla Rai. “Gli piaceva scherzare – ricorda a TMW – aveva sempre la risata pronta, era soprattutto una persona buona. A livello calcistico tutti si ricordano le sue grandi imprese ma io voglio ricordare le nostre sfide a Firenze: io con la Fiorentina e lui nella Cattolica Virtus. Era un’ala destra fortissima, anche se gracile e secco, aveva il numero sette e faceva cose incredibili. La Juve – Allodi – lo vide e lo prese per 16 milioni. Nel corso degli anni poi è rimasto il Paolo di sempre, è sempre stato umile nonostante la popolarità. Resta colui che ha regalato un sogno a tutti gli italiani. E’ nella storia. Lo ricordo anche nell’ultimo anno al Verona quando doveva convivere con i guai al ginocchio che all’epoca erano molto più duri da superare”. Nanu Galderisi è commosso:”E’ sempre stata una persona di una bellezza incredibile. Io sono cresciuto con questi eroi. Io sognavo di diventare uno come Paolo Rossi, sin dai 13-14 anni. Io giocavo con la sua figurina e poi mi sono ritrovato ad allenarmi con lui. Trap mi disse di stargli vicino, perché dovevo imparare da lui. Sono stato un’ombra, lui è stata la mia musa. Trapattoni ci mise in camera insieme dopo il Mondiale dell’82. Io feci sei gol quando non c’era, lui il campione del Mundial. Alla notizia mi è venuto in mente i suoi occhi, il suo sorriso, la sua allegria, la semplicità con cui faceva crescere un ragazzino come me, innamorato del calcio e con una bellezza umana incredibile. Oggi perdo una parte importante della mia vita, una parte di me se ne va con lui. Ho rubato molto da lui e sono contento di averlo conosciuto. Sono cresciuto con lui. Perdo un maestro di vita.
“Al Mondiale dell’86 ho fatto tutte le partite al suo posto. Lui però era sempre vicino a darmi consigli, ad aiutarmi, a sdrammatizzare quando non ero contento per quello che facevo. Lui prendeva sempre il lato ironico di questo gioco.
“Quando si arrabbiava, anche nello spogliatoio o in ritiro, non ci credeva nessuno. Non rientrava nel suo dna. E’ stato trattato malissimo in un periodo della sua vita. Mi ricordo il 1982, quando tornò a giocare le ultime partite prima del Mondiale. Ricordo la mia gioia quando entrò a Udine e si riprese il suo 9. Mi ricordo l’abbraccio dopo il suo gol. Tutti gli volevamo così bene che volevamo che cambiasse il suo destino. E l’ha cambiato, e non di poco”.
Vinicio Verza è stato grande amico e compagno storico di “Sapevo che stava male, ma era trapelato poco e nessuno pensava che la situazione degenerasse così. Paolo è stato descritto da tutti ma io voglio ricordare la sua gentilezza, era un ragazzo col sorriso e sempre disponibile, ti dava sempre una pacca sulla spalla, confortante con tutti. Ho vissuto con lui fin da ragazzino, siamo cresciuti insieme nel settore giovanile e poi dopo nel Vicenza. Abbiamo abitato insieme nello stesso appartamento. Andavamo a mangiare a Vicenza al Pozzo, ristorante dove pagavamo tremila lire a pasto. E’ stato un percorso di vita, lo conosco dal ’72, tutto quel che è stato fatto con lui è stato positivo, non l’ho mai visto arrabbiato o col muso”.