“Non doveva finire così”. Sospira Claudio Chiappucci, El Diablo. Lui e “il Pirata”, quanta strada insieme, con la maglia della gloriosa Carrera della famiglia Tacchella. Quanta strada e quanti sogni. “L’ho conosciuto da giovane, quando passò professionista” ricorda Chiappucci. “Stavamo spesso in camera insieme, avevamo un bel rapporto. E si capiva che aveva le qualità per andare lontano”.
Chiappucci ricorda “un Pirata determinato, pignolo, nelle sue cose voleva andare sempre fino in fondo. Mi ricordo, ad esempio, con quanta cura seguisse la sistemazione della bici, ogni particolare per lui era fondamentale. Oggi non ne vedi più così attenti come lui”.
E che cosa può essere successo al Pirata? Chiappucci allarga le braccia.
“Difficile dire, perchè la vita giù dalla bici poi è diversa. Quando sei un campione è un discorso, quando scendi dalla bici è tutto diverso. Non so, non posso giudicare. Certo, Marco non meritava una fine così e forse, tutto il mondo del ciclismo l’avrebbe potuto aiutare di più…”.
Dice che “quando scendi dalla bici, il mondo è diverso. Io non ho sofferto, ma ho visto tanti colleghi andare in depressione, perchè il mondo diventa un altro e tu devi ricominciare. Marco? Non so, giudicare è sempre complicato, ma forse un po’ è stato anche sfruttato, forse è facile colpire chi sta in alto e lui allora era molto in alto.
Era un bersgalio comodo, forse anche indifeso perchè lui credeva alla gente e mai avrebbe pensato che il “suo” mondo avrebbe finito per tradirlo”.
Dice che tutti, nel mondo del ciclismo, “forse potevano dargli una mano nel momento in cui ne aveva bisogno.
E questo rimarrà per sempre un grande rimpianto. Adesso mi piace ricordare il Marco spensierato dei primi anni, quando si poteva sognare e quando, più tardi, tutti e due abbiamo realizzato i nostri sogni”.