Cera una volta, anzi, Cera è per sempre. Come i diamanti. E attenzione all’apostrofo, che non ci va. Perchè lui si chiama Pierluigi Cera, veronese di Legnago, una delle glorie gialloblù, talento purissimo, cresciuto prima all’Olimpia e poi all’Hellas, erano i favolosi anni ‘60.
Cera debutta, ci vuole niente a capire che andrà lontano. Ha classe, intelligenza, personalità. Infatti, diventa subito capitano. E poi, ha il carattere giusto, uno che non avverte il peso delle responsabilità. “Il debutto?” raccontava un giorno. “La prima la giocai a Milano col Milan. Emozionato? No, non ho ricordi particolari. Non ne ho mai fatto una questione di vita o di morte, non ho mai vissuto il calcio come la cosa più importante della mia vita”. Sono anni complicati, l’Hellas ha bisogno di “schei” e Cera finisce a Cagliari. Non sembra una destinazione fantastica, invece stava iniziando una favola. Perchè sono gli anni di Gigi Riva e di un Cagliari che vincerà lo scudetto, porterà mezza squadra in Nazionale. Di quel Cagliari, Cera è il capitano. Il leader. Se Gigi Riva era il simbolo, Cera era il fratellomaggiore. Libero per…sbaglio (“…s’era fatto male Tomasini, mi dissero, prova tu”), divenne il primo libero moderno (con Savoia, del Verona) e ai mondiali di Mexico ‘70, stregò persino Pelè. “Il miglior libero ce l’ha l’Italia”, sentenziò O rey, che di calcio qualcosa capiva.
Poi ancora Cagliari, quindi il Cesena, che guidò fino all’Europa, sempre con la fascia di capitano E a Cesena si fermò, questioni di famiglia. Ne divenne diesse, dirigente, riferimento sempre, umile e intelligente. Uno dei grandi della storia dell’Hellas e pure del Cagliari. La sua sfida finisce in parità…