“Tre reti in colpo solo, contro i campioni d’Italia in carica, valgono sicuramente un’esultanza
originale”. Deve aver pensato proprio così Aldo Cantarutti, di professione centravanti, che in un tiepido pomeriggio di domenica 23 marzo 1986 mise la sua firma indelebile sul 3 a 0 con il quale l’Atalanta sconfisse al Bentegodi il Verona, sulle cui maglie campeggiava con orgoglio lo scudetto tricolore. Il repertorio di quella memorabile tripletta fu il mix ideale per qualsiasi attaccante: la prima rete con un felino tocco di esterno sinistro, la seconda in semigirata
al volo e la terza, e ultima, con un imperioso stacco di testa.
A farne le spese fu il povero Giuliano Giuliani che ogni volta, con immeritata mestizia, dovette raccogliere i palloni finiti nel sacco.
La terza marcatura, diventata pietra tombale sul match, stimolò anche la fantasia di Cantarutti che, emulando il romanista Roberto Pruzzo, protagonista la domenica precedente di un episodio quasi analogo, iniziò una sfrenata galoppata verso la curva dove erano assiepati i tifosi nerazzurri, togliendosi la maglia e gettandola “in pasto” a decine di supporters in festa.
L’aspetto tragicomico di quel momento, fu quanto successe un attimo dopo. L’attaccante
nerazzurro, infatti, visti i pochi minuti che mancavano al fischio finale, si rivolse verso la propria
panchina chiedendo il cambio.
L’allenatore, però, era quel simpatico sornione di Nedo Sonetti il quale, nonostante l’accorato appello del proprio giocatore, non volle sentire ragioni. Il povero Cantarutti si vide costretto a tornare dai propri tifosi, implorando la restituzione della maglia, senza la quale non avrebbe potuto riprendere il suo posto in campo.
Sonetti, tuttavia, decise di premiare il suo giocatore pochi minuti dopo, sostituendolo con un giovane Lamberto Piovanelli – anni dopo con alterne fortune centravanti gialloblù – regalandogli la meritatissima standing ovation.
Negli spogliatoi, mentre Chiampan non nascondeva la propria delusione, Sonetti applaudì suoi, capaci, se in giornata, di vincere contro qualsiasi avversario. Quanto a Cantarutti, con quel suo togliersi la maglia, senza saperlo, era entrato nella storia.
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