Italexit: questo il nome del movimento antieuropeista guidato da Gianluigi Paragone, ex grillino ora appartenente al gruppo misto in Senato. Sabato scorso, in Piazza Bra, il Senatore ha incontrato ristoratori e cittadini per sentire le loro lamentele e portare queste richieste a Roma.
Ma per l’ex grillino il problema è la secretazione dei contratti sui vaccini da parte dell’Europa, il nuovo debito che i governi stanno generando prendendo i finanziamenti europei; le vane interrogazioni parlamentari sulle mascherine prodotte da FCA (ora Stellantis) che lo stato ha pagato profumatamente, le mascherine provenienti dalla Cina prive di tutti i criteri per essere usate. E ancora: l’assordante silenzio sul piano pandemico che non è stato aggiornato, “sul quale non è ancora arrivata una risposta”.
Se la riforma fiscale che il Presidente Draghi propone, su stampo di quella danese, trova l’accordo di Paragone, lo stesso ricorda “che forse il Presidente Draghi ha dimenticato che la Danimarca ha una sua propria moneta”. Un punto fondamentale, quindi, è la sovranità monetaria, secondo Paragone “la soluzione è una: avere una banca centrale che stampi moneta e che copra i rischi le la capacità di impresa soprattutto in questo periodo storico”.
Sempre secondo il senatore, il capitale che è generato in Italia deve rimanere in Italia e questi debiti, buoni, come li ha definiti il Presidente Draghi “espongono l’economia italiana a dei rischi grandissimi”. Come se non bastasse, in questa situazione, il Ministro Speranza dimostra la sua capacità camaleontica, adattandosi prima al “chiudiamo tutto” di Giuseppe Conte e oggi all’ “apriamo con un rischio ragionato” di Mario Draghi.
Il nodo dei vaccini a Paragone non sfugge e sull’obbligo afferma che “è anti costituzionale. Guardate la GB cos’è riuscita a fare: è uscita dall’UE, ha comprato i vaccini separatamente e ora si appresta ad aprire. In Italia, invece, non si hanno abbastanza vaccini e si pensa già ad un obbligo vaccinale”.
Sulle tasse che le categorie sono tenute a pagare, il Nigel Farage italiano ha proposto la via “del reset sulla fiscalità, di non far pagare il costo del lavoro a chi ha un’attività dal momento che in questi mesi le serrande dei ristoranti sono rimaste chiuse. Non sono i cittadini a dover tutelare lo stato, ma viceversa, è lo stato si deve far carico del problema che stanno affrontando le categorie”.
“E’ comprensibile la decisione del mangiare all’aperto, ma i ristoratori che non hanno il plateatico cosa devono fare? Chiudere?”, il parere di Pietro Ramponi, presidente dei Ristoratori di Verona. “C’è sempre una discriminazione: i bar degli ospedali e autogrill sono aperti mentre i bar in centro a Verona sono chiusi. Vorrei che il legislatore si mettesse nei nostri panni, noi i collaboratori dobbiamo pagarli, è da mesi che vivono con la cassa integrazione. L’appello alla politica è quello di pensare al nostro lavoro perché quando da Roma hanno prima dato il via alle riaperture e poi a due giorni di distanza hanno chiuso nuovamente, questa decisione non ha giovato a noi. Come ristoratori siamo andati da Draghi: speriamo si ricordi delle partite iva, motore dell’Italia”.
Christian Gaole