Ultimo fine settimana di ottobre in puro stile magiaro trasmesso in streaming sui canali di Fondazione Arena: l’Orchestra dell’Arena guidata dal pianista e direttore Vittorio Bresciani propone un viaggio in terra d’Ungheria con i suoi due compositori più importanti, Béla Bartók e Zoltán Kodály, tra danze ispirate al folklore e ai ritmi irregolari della musica popolare magiara, per concludere con le rapsodie dell’istrionico Franz Liszt. Il concerto è stato patrocinato dall’Ambasciata di Ungheria. Da venerdì alle 20 sarà quindi possibile assistere al concerto collegandosi gratuitamente alla nuova webtv di Fondazione Arena (il link http://arena.it/tv sarà attivato venerdì) e sulle piattaforme Facebook e Youtube. Torna sul podio del Filarmonico Vittorio Bresciani, più volte alla guida dei complessi artistici veronesi in particolar modo nella resa dell’integrale esecuzione dei lavori sinfonici del compositore Franz Liszt (1811-1886), virtuoso del pianoforte e sperimentatore di timbri, generi e forme. Bresciani, che è anche acclamato solista in recital lisztiani, dirige le spettacolari trascrizioni orchestrali di ben tre Rapsodie ungheresi composte originariamente per pianoforte. Queste composizioni, presentate nella trascrizione dello stesso Liszt e di Ferenc Doppler, sono inserite a conclusione di un programma interamente ungherese, con opere dei due principali autori (nonché studiosi e divulgatori) della propria terra: Zoltán Kodály (1882-1967) e Béla Bartók (1881-1945). Del primo compositore sono proposte le rare Danze di Marosszék: il nome di questo brano, una suite ininterrotta che varia un tema per quattro volte, alternandolo con altrettanti intermezzi originali, viene da un distretto della Transilvania celebre per le sue danze già dal Seicento. Kodály vi pensò a lungo, sempre per importanti occasioni, e rimandando per potervi lavorare più dettagliatamente. L’opera nacque nel 1927 per pianoforte e solo tre anni dopo fu personalmente orchestrata dall’autore, con leggere variazioni ed un nuovo impianto tonale. Nel cuore del concerto sta un intimo e raffinato dialogo tra solista ed orchestra, ancora più intimo se affidato al timbro caldo della viola, strumento cui molti compositori hanno affidato pagine indimenticabili proprio nel crepuscolo della propria produzione artistica. Béla Bartók infatti non riuscì a terminare questo suo Concerto per viola e orchestra, che fu completato e pubblicato dall’allievo Tibor Serly ed eseguito per la prima volta a Minneapolis nel 1949, sotto la direzione di Antal Dorati e con solista William Primrose, dedicatario dell’estrema opera di Bartók. Tra i due vivaci movimenti estremi nella classica struttura del Concerto, spicca un Adagio religioso considerato dalla critica come una delle più profonde ed ispirate confessioni del compositore. Il ruolo solistico e concertante della viola è affidato a Giuseppe Mari, che dal 2013 ricopre il ruolo di prima parte nell’orchestra areniana oltre a numerose collaborazioni con prestigiose orchestre e presso importanti Festival. Come accennato, il programma si conclude con il virtuosismo dello “tzigano cosmopolita” Franz Liszt, il quale realizzò diverse Rapsodie ungheresi ispirandosi liberamente a temi, ritmi e soprattutto tinte orchestrali della propria terra d’origine. Si tratta di una raccolta di diciannove brani per pianoforte ispirati ai moti patriottici ungheresi del 1848; sei rapsodie sono state poi riadattate per orchestra dallo stesso autore e da Ferenc Doppler.
Home Cultura e Spettacolo C’è l’Orchestra dell’Arena. La guida il grande Bresciani Venerdì, diretta streaming