di Maurizio Battista
Il focus che la Cronaca di Verona ha dedicato ieri alla attività dell’aeroporto Catullo, che dalle statistiche e dal confronto con gli altri scali, esce plasticamente sottodimensionata rispetto alle potenzialità dello scalo, ha provocato molte reazioni in città e anche nel mondo politico, dall’europarlamentare Paolo Borchia al vicepresidente della commissione trasporti Flavio Tosi al consigliere regionale Stefano Valdegamberi.
Tutti d’accordo: “si deve cambiare passo”.
Una tema caldo perché già dalla prossima settimana cominceranno gli incontri tra i soci veronesi e trentini con Save, il partner industriale strategico che gestisce di fatto lo scalo e che possiede il 43% della società aeroportuale ed esprime l’amministratore delegato di fiducia del presidente Enrico Marchi.
Resta però di grande evidenza il fatto che il Catullo potrebbe lavorare molto di più e non essere relegato di fatto al ruolo di aeroporto stagionale per il turismo estivo con incoming e outgoing legati a questi flussi.
Potrebbe lavorare molto di più.
Il suo scarso utilizzo rispetto a potenzialità e capacità emerge dalle statistiche, dal numero di voli, dal confronto con gli altri scali. L’andamento del traffico lo sta facendo diventare un aeroporto stagionale con grandi picchi di in estate (500mila passeggeri in agosto) e grandi vuoti in bassa stagione con lo scalo semideserto in novembre.
La sua capacità è di 16 voli per ora, quella di Venezia è il doppio, 32 voli per ora. Però il traffico generato dallo scalo veronese è un terzo di quello veneziano: 3 milioni contro 9 milioni di passeggeri. L’attività di traffico del Catullo è molto più vicina per volumi all’attività svolta dall’aeroporto di Treviso che ha una capacità di 6 voli/ora però riesce ad utilizzarli tutto l’anno.
Questi sono solo alcuni esempi di come il Catullo potrebbe crescere e arrivare a quasi 6 milioni di passeggeri.Verona e Treviso nel Nord Italia infatti hanno la stessa quota di mercato pari all’8% del traffico passeggeri, però la capacità del Catullo è nettamente maggiore.Tant’è vero che il risultato di 3 milioni scarsi di passeggeri nel 2022 è un risultato che in passato lo scalo veronese aveva superato abbondantemente più volte.
Borchia: “Ora ci vuole un cambio di rotta”
Tutti aspetti che dovranno essere al centro delle riflessioni tra i soci veronesi e i soci veneziani in vista anche dell’assemblea di rinnovo delle cariche fissata per il 22 giugno. Perché, come scrivevamo ieri su queste pagine, resta da capire se questa sia una scelta voluta da un punto di vista strategico, per accordi sconosciuti ai più tra i soci sull’asse Verona-Venezia o se invece sia dovuto a una scarsa capacità gestionale nella programmazione dei voli e dell’attrattività nel bacino geografico. In entrambi i casi la risposta sarebbe molto preoccupante.
Ma può una città come Verona, con un sistema produttivo di prima grandezza a livello nazionale e internazionale, con un bacino di riferimento che va dalla Lombardia al Trentino, accontentarsi di un aeroporto che lavora a mezzo servizio, che movimenta 3 milioni di passeggeri quando potrebbe arrivare a 5,5 almeno e che sulla carta ha 90 destinazioni ma in realtà quelle utilizzabili sono ben meno perché tanti voli sono spot una volta o due la settimana?
“No, non può andare avanti così, serve un cambio di rotta in tempi brevi” risponde l’eurodeputato Paolo Borchia, segretario provinciale per la Lega. “Verona si merita un aeroporto che funzioni davvero tutto l’anno e non uno scalo stagionale per l’estate”.
La data obiettivo è il 2026, anno delle Olimpiadi: “Quando la gente vorrà venire ad assistere a questo evento con gare nei nostri territori, dovrà volare su Venezia e su Bergamo? Il Catullo non può essere un handicap ma deve essere una risorsa per il territorio e se ha 90 destinazioni queste non devono essere per un volo a settimana. Le strutture ci sono, le potenzialità pure, la richiesta del territorio è molto forte, quindi ci vorrebbe subito un cambio di rotta”.
D’accordo, ma come può avvenire questo?
“Deve esserci una forte volontà politica da parte dei soci veronesi e trentini, per sovvertire questo trend. I soci devono far valere con Save le ragioni del territorio. Altrimenti non ne veniamo fuori”.
Save ha avuto il merito di aver investito nel Catullo e di averlo salvato dall’orlo del fallimento, ha dato una struttura tecnica, competenze e managerialità ed è tuttora considerato un partner affidabile, ma l’avvicinarsi dell’assemblea dei soci porta con sè le tematiche più attuali e la necessità di mettere a punto il sistema. “Si deve far capire che il Catullo non è un aeroporto in concorrenza con Venezia, e questa purtroppo sembra la visione di Save”, prosegue l’eurodeputato Borchia, “perché i territori e gli obiettivi sono ben diversi. Verona ha un turismo ben diverso da quello lagunare, altri flussi, altri territori. Così pure il tessuto industriale che fa riferimento all’area veronese è ben differente da quello veneziano: non si capisce quale concorrenza ci possa essere. E’ tempo dunque che il Catullo venga sviluppato per le potenzialità che ha”.
Potenzialità che aumenteranno ancor di più quando saranno conclusi i lavori del nuovo terminal passeggeri secondo il progetto Romeo, lavori che saranno conclusi con un po’ di ritardo rispetto alle previsioni, nel maggio 2025, in tempo per le Olimpiadi.
Tosi: “Catullo, dato troppo spazio a Venezia”
Da qui l’appello anche del vicepresidente della Commissione Trasporti della Camera Flavio Tosi, ex sindaco e ora deputato di FI perché i soci veronesi facciano squadra per ottenere di più per il Catullo.
Dice infatti Tosi, alla luce dell’analisi pubblicata dalla Cronaca di Verona: “Quando con Enrico Marchi stringemmo l’accordo per salvare dal fallimento il Catullo, quella era la situazione reale allora, il sistema dei soci pubblici pose una serie di condizioni attraverso la stipula di patti parasociali: parliamo del 2014/2015”.
“Due anni dopo”, prosegue Tosi, “ci fu il cambio di amministrazione a Palazzo Barbieri e tra le tante questioni fondamentali rimaste sul tavolo, anche quella del nostro aeroporto non venne più seguita. Gli obblighi per Save posti attraverso i patti, sono rimasti sostanzialmente disattesi per mancanza di attenzione e vigilanza da parte dei soci pubblici; quel “contratto” è stato anche lasciato scadere senza porsi il problema di rinnovarlo e aggiornarlo, così che l’azione di Save si è potuta concentrare quasi esclusivamente sull’aeroporto più vicino a Venezia, cioè Treviso. Quest’ultimo ha così potuto giovarsi di decine di milioni di finanziamenti pubblici, mentre per esempio l’attuale cantiere tardivamente posto in opera al Catullo è pagato in toto dai soci attraverso un aumento di capitale”.
Verona con i suoi soci pubblici insomma ha lasciato fare… “La logica operativa di Save, senza che i soci pubblici del nostro aeroporto abbiano battuto ciglio” afferma infatti l’ex sindaco, “è raccogliere finanziamenti e sviluppare voli prima a Venezia, poi a Treviso e quel che resta a Verona”.
Ora per i soci pubblici si apre una dura sfida da vincere: “Speriamo che il prossimo cda, ma soprattutto la compagine sociale del “sistema Verona” e cioè il pacchetto che comprende principalmente anche Trento, Bolzano e Brescia, finalmente faccia valere l’importanza strategica del Catullo come scalo di riferimento per Verona, Vicenza, Mantova, Brescia, Trento e Bolzano”.
“Solo per abitanti”, conclude, “ il capoluogo scaligero è il decimo in Italia, siamo la quarta provincia per turismo, il primo polo intermodale in Italia, abbiamo la terza fiera del Paese e un sistema produttivo industriale e agricolo tra i primi in assoluto. Verona e la cosiddetta “regione del Garda” si meritano un aeroporto all’altezza di questi numeri; non si pretende di essere privilegiati, ma è inaccettabile essere penalizzati così clamorosamente nell’ambito del trasporto aeroportuale nazionale”.
“Aeroporto, maggioranza a rischio”. Valdegamberi: “Il prossimo aumento di capitale porterà Save oltre il 50 per cento”
“L’analisi fatta su “La Cronaca” mette in evidenza un aspetto importante”, afferma il consigliere regionale Stefano Valdegamberi da sempre molto attento ai problemi dello scalo veronese: “l’aeroporto Catullo lavora a traffico ridotto rispetto alle sue potenzialità. Esse sono di gran lunga superori al “neonato” aeroporto di Treviso ma quest’ultimo, in termini di traffico riesce a superarlo. La regia del sistema aeroportuale veneto è unica, tant’è che voli importanti sono transitati negli ultimi anni da Verona verso Venezia. È la stessa regia che ha voluto portare il Catullo (complici i rappresentanti politici e delle associazioni economiche veronesi) nell’orbita veneziana senza nemmeno tentare di mettersi sul mercato (richiesta allora da me avanzata) per valutare ipotesi alternative, anche internazionali come hanno fatto con successo scali analoghi in Europa”.
Un aeroporto che viaggia dunque con il freno a mano tirato o se preferita una metafora più aviatoria, ha il piombo nelle ali.
“L’ingresso di Save, venduto come un’azione di salvataggio dell’aeroporto scaligero, era stato ben pilotato, a partire dalla cessione irregolare delle quote da parte del Comune di Villafranca, in modo da evitare il confronto sul mercato. Era l’unica soluzione possibile? Così si è fatto credere ma non sono mai stato convinto di questo. Verona era appetibile non solo al sistema lombardo ma anche ad altri gestori internazionali (sempre messi alla porta) che avrebbero avuto interesse ad investire su Verona. I dati di questi anni dimostrano che l’obiettivo di portare Verona nell’orbita di Save-Venezia non era quello di sviluppare l’aeroporto scaligero ma di di creare una zona cuscinetto per arrestare le spinte espansionistiche di Milano: occupare uno spazio evitando che altri possano intromettersi mettendo in difficoltà Venezia”.
“Questo lo scrissi ancora anni fa, nella totale indifferenza dei decisori politici ed economici veronesi e sempre più la storia mi sta dando ragione anche se avrei preferito di essermi sbagliato”.
“L’aeroporto scaligero”, prosegue Valdegamberi, “vive di annunci spot, tagli di nastri , dichiarazioni di successo più virtuali che reali tant’è che tra poco i soci saranno chiamati a nuovi aumenti di capitale. Poiché la regia di Verona è la stessa di Venezia e Treviso sono portato a pensare che il sottodimensionamento in termini di traffico dell’aeroporto di Verona sia un fatto deliberatamente voluto. A quale scopo? Far gettare la spugna ai soci pubblici fiaccandoli con continui aumenti di capitale costringendoli a cedere il controllo non solo di fatto ma anche di diritto al socio privato. Il tutto a basso costo per il privato che potrebbe così impossessarsi del tutto dell’aeroporto a prezzi svalutati. Diversamente non si spiegherebbe tutto questo. In questo Marchi è bravo: minimo sforzo, massimo rendimento. Spero però di non avere ragione anche stavolta”.