Caro vecchio “Profe”, quanti ricordi ! E' il libro che ripercorre la splendida avventura tecnica e umana di Walter Bragagnolo

Aveva una marcia in più, il Profe. Lo vedevi da come entrava in redazione, camicia (quasi sempre) bianca, pantalone scuro, un borsello nero nel quale teneva, anche, i suoi pensieri. Sorrideva, sempre. Il piglio dell’uomo sicuro di se’, senza andare mai oltre le righe. Disinvolto, certo, perché sapeva di essere tra amici. Umile, perché sapeva di essere comunque in “casa d’altri”. Quando serviva, due passi indietro, meglio che uno avanti.
Avanti, lo era per davvero, il Profe. Avanti chilometri/luce, rispetto al mondo che viveva. Talmente avanti da spaventare i Palazzi dove tutto si decide senza mai, per davvero, decidere niente. Quelli come il Profe, in fondo, devono pure spaventare chi è abituato a camminare rasoterra, sperando che il destino non ti chiami mai a scegliere. Per questo, forse, anzi, sicuramente per questo, non è mai stato per davvero “dentro” i Palazzi anonimi dove pure si decidevano i destini dell’atletica.
“Bragagnolo? Eh, ha grandi idee, ma è un solista, come fai a inquadrarlo in un gioco di squadra?”. Dicevano questo, più i meno, i “ragionieri” dei Palazzi.
Aveva davvero grandi idee, il Profe. E te le esponeva senza mai salire in cattedra, non ne aveva bisogno. Perché i grandi, o forse, semplicemente, le persone intelligenti, non cercano mai davvero la vetrina. Semmai sono gli altri a regalargliela. E ti raccontava le sue teorie, lo sport era “roba sua”, non solo l’atletica. Che differenza c’è tra il salto di Sara e uno stacco di Preben?
Aveva grandi qualità umane, il Profe. Mai sentito una volta parlare di Sara, mai sentito una volta vantarsi di averla in fondo scoperta, di averci creduto come sapeva crederci lui, intuendone il volo quand’era, quasi, poco più di una bambina.
Vedeva in anticipo, quello che sarebbe successo, il Profe. E allora, ti piombava in redazione, magari sul far della notte, assieme a quel “folle” di Adalberto, chissà da dove venivano, non gliel’abbiamo mai chiesto e non ce l’avrebbero detto. Arrivava bello carico e ti buttava li il titolo del giorno dopo. “Puoi scrivere che Zerbini andrà in finale alle Olimpiadi di Los Angeles. Parola mia”.
Tu lo guardavi “un po’ così”, magari pensavi pure che, vista l’ora, la facesse più grossa di quel che era.
Era un fuoriclasse davvero, il Profe. Lui ti prendeva ‘sto gigante di Lugagnano, buon tamburellista perché era nato a Salvi, ma tutto da costruire come “aspirante finalista olimpico”. Lo prendeva, gli dava le dritte giuste, gli inventava allenamenti “folli”, che non stavano in nessun manuale di atletica e non stavano, di sicuro, ne’ in cielo, ne’ in terra. “Se mi ascolti, andrai in finale” gli diceva.
Era uno di parola, il Profe. Perché il “buon tamburellista” di Salvi, andò per davvero in finale a Los Angeles e questo, senza sbandierarlo troppo in giro, resta uno dei suoi piccoli o grandi capolavori. Perché gli artisti son fatti così. Prendono un materiale grezzo e ne fanno un’opera d’arte.
Era davvero geniale, il Profe. Gli dovevi lasciare qualche centimetro di “sana follia”, perché il genio, mica sempre, riesci a contenerlo. O a capirlo. Sarà per questo che “quelli dei Palazzi dell’atletica” in fondo se lo sono lasciati sfuggire. “Ah, se ascolti Bragagnolo…”. Già, se ascolti Bragagnolo, magari, finisce che ti racconta pure che c’è l’erede di Consolini. E che oltre a Los Angeles lo porterà pure alle Olimpiadi di Barcellona. “Ma dai, mica gli crederai…”.
Bastava credergli, al Profe. Chissà quante Simeoni e quanti Zerbini abbiamo lasciato per strada, in qualche sperduto campo di periferia, tra borse piene di sogni mai realizzati e promesse mai mantenute. Perché quelli come il Profe, non sono dappertutto e non nascono tutti i giorni. Sono rari e preziosi, folli e geniali, umili e grandi. Vanno con i piedi per terra, ma se li ascolti e ci credi sanno farti volare. Un’asticella, un disco, una medaglia, a volte, sono solo figli della fantasia.

Raffaele Tomelleri