Caro Osvaldo,
ma sì, stavolta buttiamo via la paura, come si fa con gli amici. Quelli veri, quelli che appartengono alla tua vita, che forse senza saperlo e senza pensarci, ne hanno segnato un bel pezzo.
Auguri, Osvaldo. Sono 85 e ci creda se le diciamo che non li dimostra proprio. Primo, perchè lei sembra sempre quello di dicei o vent’anni fa, il fisico è quello, quello lo sguardo, il passo. Secondo, perchè quelli come lei, che hanno segnato un’epoca della nostra vita, non invecchiano mai. Ma come, lei pensa davvero che gli eroi dello scudetto possano invecchiare? Macchè. Lei sarà sempre il Bagnoli di allora, quello che ti metteva un po’ di soggezione quando dovevi intervistarlo, ma anche quello che ti diceva “…senti, vieni in spogliatoio, finchè faccio la doccia, così guadagni tempo tu e lo guadagno anch’io”.
Lei sarà sempre quell’Osvaldo là, quello che arrivava in bici allo stadio, in braghe corte, con l’aria un po’ svagata di chi sembra capitato lì per caso, ma invece stava scrivendo una favola.
Bei tempi, dirà, “gavèa 35 anni in meno…”. 85, Osvaldo, pensi che ben numero. Lei compie 85 anni, il Verona vinse lo scudetto nell’85, quasi quasi ce lo giochiamo al lotto, ‘sto numero.
Ricorda, Osvaldo? Quel Verona, quei ragazzi, quell’impresa? Tutti dicevano “ma questi, dove credono di andare?”. E lei faceva finta di crederci, mai parlato di scudetto, mai detto una parola in più o in meno. Ma ai suoi ragazzi, bastava uno sguardo, bastava un’occhiata per capire che lei era il primo a crederci, che stava nascendo qualcosa di unico.
Grazie, Osvaldo. Grazie è una parola semplice, di quelle che piacciono a lei, grande allenatore, ma prima ancora, uomo per bene. Impossibile non volerle bene. Grazie per quello che ha fatto, ma soprattutto per come lo ha fatto. E per come lo ha vissuto. Semplice e umile, come se avesse vinto un torneo dei bar e non uno scudetto. Sempre disponibile, sempre pronto a dire “sì”, anche oggi che il tempo è passato e a volte potrebbe starsene tranquillo.
Un esempio, per tutti. Soprattutto per certi allenatori di oggi che parlano di calcio come se l’avessero inventato. Lei ha sempre detto una cosa: “il calcio è semplice, molto più di quanto lo facciamo sembrare”. Ah, quando mancano, oggi, quelli come lei…”
“Gli schemi? Mai fatti, gli schemi nascevano da soli, se li costruivano i giocatori” diceva. E nessuno le credeva. Ma era la verità. Perchè lei era così bravo nel metterli in campo, che poi tutto veniva naturale. “Lo spogliatoio? E’ nato da solo, perchè quando tu hai giocatori intelligenti, capiscono da soli cosa è giusto e cosa è sbagliato”. A lei bastava guardarli, loro avevano già capito. E anche adesso, quando il Trice e il Volpe, il Fonto e Bruni, il Nanu e il Gigi, il Dige e Pierino, parlano di lei, hanno gli occhi che brillano.
Perchè il rispetto è la cosa piùbella che resta, quella che non passa mai. E il rispetto si conquista dando rispetto. “Lui non aveva bisogno di parlare, bastava vedere come si comportava” dicono tutti. “Corretto, coerente, se doveva dirti una cosa, te la diceva in faccia, senza giri di parole”.
Grazie, Osvaldo. Grazie anche dell’amicizia che è nata negli anni. Ricordo ancora, benissimo, il giorno in cui lei mi disse: “Ohè, senti, ma lè mejo che te me daghe del ti”.
Un’emozione, certo. Perchè dietro quelle parole semplici, c’era anche stima. Perchè voleva dire che negli anni il rapporto era diventato più forte, “perchè di te mi posso fidare”.
Grazie, Osvaldo e stavolta ti dò davvero “del tu”, come si fa con gli amici. Grazie perchè non sei mai cambiato e continui a vivere in questa città, diventata tua, come l’amico della porta accanto, non come l’allenatore dello scudetto. E così la gente ti vede e ti apprezza. Tu sei quello che ha quasi sempre paura di disturbare, come se fossi un intruso. “Non vado a vedere gli allenamenti – dicevi anni fa – perchè non so cosa potrebbero pensare gli allenatori. Guarda questo qua, cosa viene a vedere?”. Dicevi questo, senza sapere che loro, tutti gli allenatori, erano orgogliosi di sapere che Osvaldo Bagnoli era andato a vedere come lavoravano.
Ma tu sei fatto così, una fortuna per chi ha lavorato con te, per chi ti conosce. Perchè sei l’esempio di come si possa essere grandi e semplici, di come si possa e si debba sempre restare con i piedi per terra. Perchè il calcio è un gioco e lei non l’ha mai dimenticato. Ma non con le parole, con i fatti. Anche per questo, Verona ti vuole bene. Anche per questo sei nel cuore di una città che oggi vorrebbe urlare “Auguri, Osvaldo”. E lo fa, magari sottovoce, perchè in fondo Verona è come te. Grande e discreta, unica e semplice. Forse non è un caso che vi siate incontrati. “Auguri, Osvaldo”. E grazie di tutto. Soprattutto dell’amicizia.
Raffaele Tomelleri