Ore 6.05, “era un lunedì”, ricorda Gigi Maifredi. “E’ il segretario dell’Avvocato Agnelli. Mi dice, le passo l’Avvocato”. Me l’avevano detto che lui iniziava i suoi “giri” a quell’ora, ma svegliarmi a quell’ora non fu facile. Ci parlammo un po’, mi chiese come vedevo questo, come andava il “fighetto”, cioè Baggio…Capii che aveva stima di me, che credeva davvero potesse nascere una Juve diversa…”.
Finita la telefonata, Maifredi chiamò il segretario e gli disse: “Per favore, non mi chiami più a quest’ora, sa, ho i figli piccoli, devono andare a scuola, devono riposare”.
Ma non finì male per quello, la sua avventura juventina. “La verità è che non ero fatto per stare alla Juve. Lì, devi fare solo l’allenatore, pensare soltanto a quello. Io ero abituato a Bologna, quando finiva il calcio, io staccavo la spina. E poi, altra cosa importante, alla Juve non puoi andare per un anno di transizione. Quando arrivai, Montezemolo, che m’aveva voluto, mi disse:”lei Maifredi, lavori tranquillo. Questo è un anno di transizione”. Col cavolo, fai transizione alla Juve. Alla Juve devi vincere, punto e basta. Noi partimmo bene, poi ci fu un calo, anche se giocammo partite straordinarie, come in Coppa”.
Col Barcellona, poteva essere la svolta. “Vincemmo 1-0, gol di Baggio. Non bastò a passare il turno. Ci fossimo qualificati, io credo, l’Avvocato avrebbe fatto di tutto per tenermi. Il ricordo più bello? Rientrai negli spogliatoi e vidi Baggio con le lacrime agli occhi. E quando un allenatore vede queste cose capisce
che il suo lavoro non è stato inutile”.