Ogni suicidio in carcere è un fallimento delle istituzioni, cioè di noi tutti.
La persona detenuta viene affidata alla custodia dello Stato, che deve garantire la sua sicurezza e la sua “rieducazione”, come dice la Costituzione. Se invece il carcere diventa un luogo di sofferenza per i detenuti stessi, ma anche per il personale addetto (polizia penitenziaria, educatori, volontari, ecc.), significa che abbiamo fallito come società. Come ha scritto Dostoevskij “Il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni.”
Di fronte alla morte volontaria per disperazione di un detenuto, tutti dobbiamo sentirci chiamati in causa. Il carcere troppo spesso è un “non luogo”, dobbiamo invece considerarlo come parte integrante della città, un patrimonio comune. Quando Papa Francesco verrà in visita nella nostra città, il prossimo 18 maggio, andrà a pranzo nel carcere di Montorio, e spezzerà il pane con i detenuti. È un grande segno che dobbiamo saper cogliere. Il poeta Fabrizio De Andrè ci ammonisce ancora “Anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti”.
Ce lo ricordano quelle cinque persone che al posto del riscatto in carcere hanno trovato la morte.
Mao Valpiana
Movimento Nonviolento Verona