Valore dell’export veneto verso il Regno Unito pari a 3,6 miliardi di euro di beni (dati Unioncamere 2018) e bilancia commerciale positiva per 2,9 miliardi. Si può certificare con questi due numeri il livello di preoccupazione degli imprenditori veronesi e veneti nei confronti della Brexit. L’uscita traumatica dall’Unione Europea potrebbe pesare per oltre il 2,1% sul Pil veneto. Anche perché il valore del nostro export regionale, al terzo trimestre 2019, ha sfiorato i 2,8 miliardi di euro, in crescita rispetto ai 2,6 miliardi dello stesso periodo del 2018 (dati Istat). “Anche in Italia si dovrebbe affrontare il tema – analizza il segretario generale di Casartigiani Veneto Andrea Prando – non per uscire dall’Unione, ma perché cambi l’atteggiamento su alcuni temi che fanno soffrire le nostre imprese. È evidente che la Brexit avrà ripercussioni sulle aziende venete, arrivando a pesare fino al 2,1% del nostro Pil regionale. Le nostre imprese esportano da sole nel Regno Unito il 15,6% del totale nazionale. Parliamoci chiaro, per noi è come avere un fratello che esce di casa sbattendo la porta perché non condivide le regole di una famiglia troppo allargata e di una imposizione dall’alto troppo vincolante. Imposizioni e regole che mettono in sofferenza anche le nostre aziende”. I dati dimostrano come il Veneto sia una regione economicamente molto legata al mercato inglese. I settori con maggiori vendite dal Veneto al Regno Unito sono quello dei macchinari (quasi 570 milioni di euro di beni venduti nel 2018 e un aumento del 6,3% rispetto all’anno precedente), delle bevande, in particolare dei vini (495 milioni, +4,9%), dell’abbigliamento (265 milioni, +9,2%), degli occhiali (258 milioni, +4,8%) e dei mobili che però segnano il passo con un saldo negativo, ma con valori assoluti interessanti (248 milioni, -5,9%). “Nel complesso – sottolinea Prando – nell’ultimo anno le esportazioni sono aumentate del 2%, con una crescita che, nella prima parte dello scorso anno, sono arrivate a salire anche del 7,5%, effetto delle maggiori scorte delle aziende inglesi per tamponare eventuali blocchi alle frontiere o compensare almeno temporaneamente l’eventuale impennata dei dazi. La cosa ben chiara a tutti è che Boris Johnson ha saputo affermare il principio che a casa sua comandano leggi fatte da loro e su questo – continua Prando – anche in Italia, qualche riflessione in più la si dovrebbe fare, visti alcuni regolamenti che penalizzano fortemente il nostro modello produttivo”.