E venne il giorno di Carlos Monzon. Era il 7 novembre del ‘70, 49 anni fa. Nino Benvenuti era il re incontrastato dei medi, dopo l’impresa con Griffith e le battaglie con Mazzinghi. Qua e là erano affiorati swtrani scricchiolii, nella sua resistenza. Ma nessuno poteva pensare che la fine di un’epoca fosse così vicina. “Chi è Monzon?”, si chiedevano tutti. L’argentino, scelto tra una serie di possibili sfidanti contemplati dalle due federazioni di cui Benvenuti era campione (WBC e WBA) era fondamentalmente sconosciuto al grande pubblico non avendo mai combattuto al di fuori dei confini sudamericani: quasi sempre in Argentina, qualche volta in Brasile.
UNO SCONOSCIUTO. La designazione generò dunque qualche polemica: Escopeta, come era chiamato lo sfidante, fu considerato da molti un rivale troppo morbido e privo del giusto pedigree per meritare la chance iridata. Persino nel paese natale di Monzon imperava un notevole scetticismo tanto che nessun giornalista specializzato si mosse per seguire il pugile in Italia. I fatti successivi dimostrarono quanto grande fosse l’abbaglio di cui era vittima il mondo della boxe in quel periodo.
LA SORPRESA. Trovatosi di fronte quello che era a tutti gli effetti un oggetto misterioso, Benvenuti si esibì in un approccio iniziale piuttosto baldanzoso, piazzandosi a centro ring come se si ritenesse destinato a comandare le operazioni e cercando di mettere pressione sullo sfidante che invece per una parte consistente del primo round non svelò le proprie carte, Allo sfidante tuttavia bastò ben poco tempo per trovare le giuste contromisure: invece di aspettare l’azione del rivale per castigarlo di rimessa come aveva fatto fino a quel momento, iniziò ad accorciare la distanza e a lavorare al corpo. Ne derivarono numerose fasi di clinch nel corso delle quali era sempre Monzon a prevalere grazie alla propria straripante fisicità alla quale Benvenuti non trovava contromisure.
UN KILLER. Monzon divenne a poco a poco padrone del ring. Nino Benvenuti cercò in tutte le maniere di opporsi. Si aggrappò a tutti i segreti del mestiere, provò a “legare”, a trattenere un avversario che diventava via via più duro, più forte, più cattivo. Ogni colpo, uno scossone. Al fisico e al morale. Monzon era come l’avvoltoio che dall’alto osservava la preda, pronta a cadere. Benvenuti era la preda, non poteva più scappare, chiuso tra 4 corde che tante volte gli erano state amiche. L’epilogo al dodicesimo, drammatico round. Monzon chiuse per sempre il match e l’epopea di Nino Benvenuti con un destro terribile. Conto totale. Giù il sipario. Il re era adesso Monzon.