Belfast, pura gioia per occhi e cuore – di Maria Letizia Cilea Kenneth Branagh torna al cinema con questo lavoro che parla dell’Irlanda anni ‘60

Il cavaliere della Regina Elisabetta, esperto shakespeariano e professionista del palcoscenico prestato alla settima arte torna al cinema con un omaggio alla propria infanzia che è pura gioia per gli occhi e per il cuore. È infatti la vita del piccolo Kenneth Branagh nella tortuosa Irlanda degli anni ‘60, a dipanarsi sullo schermo in Belfast, ultima fatica del regista che per questo privatissimo racconto è anche sceneggiatore e produttore.
Nato nel 1961 nella capitale irlandese, il piccolo alter-ego di Branagh di nome Buddy vive la sua infanzia nella condivisione di spazi, giochi e affetti con la sua famiglia: madre, fratello, i due nonni, un papà carpentiere a Londra e i vicini di casa cattolici, persone perbene che di lì a poco si troveranno le case bruciate e le famiglie distrutte a causa delle tensioni tra unionisti e nazionalisti del conflitto nordirlandese.
I “Troubles” di Belfast scoppieranno nel 1969, e ben presto il rione di Buddy si trasformerà nel campo di scontro di una guerra civile, mentre il bambino e la sua famiglia cercheranno di aggirare le insidie, costruendosi una quotidianità fatta di piccole cose.
È un mondo tutto visto dal basso verso l’alto, quello che Branagh costruisce per gli spettatori attraverso gli occhi curiosi di Buddy, piccolo eroe di questa storia famigliare che con la leggerezza di una narrazione semplice riesce a raccontare una Storia di ben altro peso, quella di un’Irlanda divisa e di intere generazioni di famiglie costrette a emigrare per garantirsi la sopravvivenza. Scontri sociali, guerriglie urbane, tensioni politiche: Belfast ruota intorno a questioni da film storico che qui trovano invece nuova linfa proprio grazie alla prospettiva privilegiata che le modella: alle inquadrature dal basso fa il paio anche l’uso del bianco e nero, che conferisce alla vicenda un fascino antico eppure attuale, quasi a dirci che l’infanzia di ciascuno, con le sue paure e meraviglie è sempre lì dietro l’angolo, a determinarci in quello diventeremo da adulti.
Se questa poetica di predestinazione è vera, diventa chiaro in che misura Belfast sia stato concepito innanzitutto come un omaggio alla settima arte e al suo potere di plasmare storie e destini: ritroviamo dunque Buddy con gli occhi spalancati davanti a cult come Citty Citty Bang Bang o Un milione di anni fa, proiettati su uno schermo cinematografico – a colori, perché il cinema è sempre contemporaneo – che diventerà maestro di vita per il ragazzino, educandolo a un’attenzione alla realtà e a uno sguardo gioioso che è poi lo stesso messo da Branagh nel film. A fianco allo stupore di Buddy – interpretato dal piccolo, grande talento Jude Hill – la malinconia, la saggezza e l’inquietudine di adulti senza nome, definiti unicamente dal legame col protagonista: Ma, Pa, Pop, Granny, figure-archetipo di famiglia, incarnazione della radice profondissima che lega la storia di un uomo a culture antiche, generazioni lontane e immaginari primitivi capaci di prendere vita in un racconto che nel rievocare la matrice di un destino cattura, miracolosamente, anche l’essenza del cinema.
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VOTO 8,5