C’era lui, alla guida della Domenica Sportiva. Correva l’anno di grazia ’84-’85, giusto per dire, “…già, l’anno dello scudetto del Verona”. Bartoletti ricorda. “L’anno del sorteggio integrale, per quanto riguarda gli arbitri. Curiosamente vinse il Verona, lo scudetto. Solo un caso? Mah…”. Prova persino a ricordare la formazione-tipo… “Garella…poi aiutatemi, si, Ferroni, Marangon, Tricella, Fontolan Briegel, Fanna, Volpati, Galderisi, Di Gennaro, Elkjaer. E poi Sacchetti, Bruni…”
Promosso. “Ho avuto la fortuna di conoscere Osvaldo Bagnoli, uno dei galantuomini
più veri che ho conosciuto nel calcio e non solo nel calcio. Quello scudetto, mi emoziona ancora”.
E non solo perchè “…eravamo tutti più giovani”. “No, quello era un altro calcio, un altro sport… Allora, c’era anche un’altra Italia. Oggi è tutta un’altra storia, direi che i nostri ragazzi, forse anche per colpa nostra, hanno perso il dna del sacrificio. Oggi, tutto parte dall’Ipad e dall’Iphone…”.
Va indietro nel tempo, “…non posso non pensare a uno dei momenti più difficili e più belli. Anni ’60, quando ancora c’erano le macerie della guerra, quando c’era voglia di lottare, di pedalare, in senso vero e in
senso metaforico. C’era la voglia di uscire dalla guerra ed era la voglia di tutti. Ci vennero assegnate le Olimpiadi di Roma, un po’ una sfida che il mondo sportivo aveva lanciato all’Italia. “Vediamo se siete capaci di vincerla”. Fu uno sforzo enorme, ma l’Italia vinse quella sfida, sia dal punto di vista organizzativo, che tecnico. Vincemmo 13 medaglie d’oro, soprattutto in discipline di fatica come ciclismo e pugilato. E demmo la risposta che il mondo aspettava. Oggi, purtroppo, viviamo forse il momento peggiore, non sappiamo più dare quegli esempi di efficienza e di unità”.
Poi un sorriso triste, ripensando a un amico che non c’è più. Un amico vero. “Marco Pantani”. Bartoletti ha gli occhi lucidi, ricordando “…un ultimo dell’anno che avevamo trascorso assieme. Ho anche la foto, l’ho messa in uno dei miei libri. Marco era un ragazzo buono, non doveva finire così e quando ci penso anch’io ho dentro una sensazione strana. Lui che andava sempre in fuga, l’abbiamo lasciato andare senza chiederci dove stesse andando”.
Questa foto, questo ricordo, “…è un dolore continuo. Perchè Marco potrebbe ancora essere qui a raccontarci com’era. Come vinceva, anche come soffriva. Invece Marco non c’è più ed è un tormento per tutti quelli che l’hanno conosciuto”.
Raffaele Tomelleri