Se già dal cognome si poteva intuire la sua provenienza, dall’accento della sua parlata se ne ha la conferma: Vittorio Pusceddu, sardo d’origine ma con Verona nel cuore. Nato a Buggerru, paesino di mille abitanti nella costa occidentale dell’isola, Pusceddu fa il suo esordio nel calcio professionistico a vent’anni con il Cagliari. Da allora sono molte le maglie che ha indossato in Serie A: Torino, Ascoli, Udinese e Genoa prima del suo approdo all’Hellas di Osvaldo Bagnoli nella sfortunata stagione della retrocessione (1989/1990). Giusto il tempo di tornare nella massima serie con gli scaligeri e poi, eccetto quattro anni consecutivi a Cagliari, altre brevi esperienze con Napoli, Fiorentina, Empoli e ancora Torino, squadra con cui ha chiuso la sua carriera da giocatore.
Ma cosa fa oggi Vittorio Pusceddu?
«In questo momento sono il selezionatore della Nazionale della Sardegna. Quest’anno, a luglio, è in programma un campionato con altre squadre che rappresentano stati senza riconoscimento internazionale e che vorrebbero una propria identità territoriale, come la Catalogna in Spagna. Purtroppo, però, non abbiamo ancora la certezza che si disputerà a causa della pandemia».
Chi potrebbe far parte di questa squadra?
«Posso chiamare tutti quei giocatori legati in qualche modo alla Sardegna: non solo chi è nato qui, ma anche chi vi è rimasto a lungo. Quindi potrei convocare Deiola e Pinna del Cagliari, Mancosu del Lecce e Barella dell’Inter. Lo scopo principale, però, è quello di far conoscere quei giovani talenti che non hanno avuto la fortuna di trovare il giusto spazio in squadre di alta categoria».
Prima di ricoprire questo ruolo, ha avuto anche esperienze da allenatore.
«Subito dopo il ritiro ho avuto la fortuna di fare il vice di Reja al Cagliari. Siamo saliti dalla B alla A e in quella squadra c’erano campioni come Zola, Esposito, Langella e Suazo. Poi sono stato per tre anni nel settore giovanile del Cagliari, alla guida della Primavera, allenando giovani molto interessanti come Barella e Murru. Allenare dei giovani ragazzi e poi vederli titolari in campionati importanti come la Serie A o addirittura in Nazionale fa veramente tanto piacere».
Qual è il suo allenatore modello?
«Se dovessi sceglierne uno direi Bagnoli, perché è stato un maestro di vita oltre che di calcio. Ha sempre fatto giocare le sue squadre senza alzare troppo la voce. Poi aveva un altro pregio: non faceva mai giocare nessuno fuori ruolo. Molti allenatori d’oggi, invece, cercano di adattare i propri calciatori ad altri ruoli, ma poi questi non rendono al cento per cento».
E quali sono i più bei ricordi della sua carriera da giocatore?
«Sicuramente le due semifinali raggiunte nelle competizioni europee: quella in Coppa delle Coppe con la Fiorentina è forse più scontata, mentre quella in Coppa UEFA con il Cagliari è più particolare, perché è un traguardo più difficile da raggiungere per una squadra provinciale».
E dell’esperienza con l’Hellas cosa ci dice?
«Sicuramente è più positivo il ricordo della mia seconda stagione a Verona, quando siamo risaliti dalla B alla A. Il primo anno, quello della retrocessione, è stato un anno difficile perché eravamo tutti nuovi e all’andata abbiamo raccolto solo 9 punti. Quando la squadra ha iniziato a conoscersi, nel girone di ritorno, siamo andati molto meglio ma non è bastato».
E a Verona si è trovato bene?
«Tantissimo, anche e soprattutto a livello personale, considerando che ho figli che sono nati lì. Una città che mi ha dato tanto e cui anche io, a livello di grinta e di impegno, ho sempre dato il massimo. Per me rimane e rimarrà sempre nel mio cuore».
Pietro Zardini