I recenti casi di cronaca, avvenuti nella nostra città e non solo, hanno riacceso i riflettori su un fenomeno che in realtà non ha mai smesso di preoccupare, quello delle baby gang. I dati confermano, purtroppo, un aumento dei casi di microcriminalità, intesa come insieme di atti violenti compiuti da minori organizzati in gruppi. Con il termine baby gang viene identificato un fenomeno di microcriminalità che si sviluppa nell’ambito di contesti prevalentemente urbani. Si tratta di un arrangiamento moderno delle oramai obsolete “bande”. Protagonisti di condotte devianti ai danni di cose, o sempre più spesso persone, sono giovani e giovanissimi che si riuniscono in branco.
Un gruppo costituito spontaneamente, con una struttura gerarchica definita e dei dettami di condotta, i cui componenti sono accumunati da un sentimento diffuso di rabbia. Ogni decisione è devoluta alla leader, la personalità dominate, capace di produrre effetti identificativi e fascinatori. Far parte di una baby gang assicura inclusione, sostegno e protezione e questo falso luccichio, può far leva e portare ad affiliarsi chi mostra vigore ma in realtà è estremamente fragile.
La criminalità viene vissuta dal gruppo in maniera riduttiva come una sorta di trasgressione ludica. Se è spesso riconosciuto che la microcriminalità trova terreno fertile nei contesti degradati, in cui sussistono quindi condizioni critiche a livello familiare, economico e sociale, i dati ci chiariscono che una percentuale piuttosto importante di fenomeni di criminalità minorile afferisce anche da contesti in cui l’estrazione sociale risulta essere media, se non addirittura alta.
Quello che invece pare essere spesso un denominatore comune nelle storie di vita di chi sceglie di associarsi a un simile gruppo è l’aver ricevuto uno stile educativo familiare semiprivo di regole, valori e principi da seguire e rispettare.
Da qui la spinta ad andare contro tutto ciò che impone delle norme con un incipit di antisocialità. Un tentativo spesso pericoloso di ricercare attenzione, di essere visti nelle proprie difficoltà, attraverso agiti di prepotenza.
Ma la sociopatia caratteristica della gang può discendere anche da contesti familiari eccessivamente accondiscendenti o iperprotettivi. Ad essere presi di mira sono solitamente i coetanei, ritenuti più deboli ed emarginati, spesso i compagni nell’ambito del contesto scolastico, le persone anziane, i disabili e in generale tutti i soggetti più vulnerabili. Alla base, una totale mancanza di empatia verso l’altro.
Ed è forse proprio questo aspetto a rendere più frustante e straziante il tutto. Il branco aggredisce il singolo, il forte prende di mira il fragile.
Accerchiano il pesce piccolo, se lo mangiano e lasciano lì i suoi resti con indifferenza. E’ un fenomeno preoccupante su cui bisogna interrogarsi. Il problema esiste e dobbiamo affrontarlo in modo strutturale, altrimenti il rischio è che dilaghi ancora di più.
Sara Rosa, psicologa e psicoterapeuta