«Le donne? Siamo le prime ad essere troppo dure, con noi stesse e con le altre. Il cambiamento di mentalità per raggiungere la parità di genere deve partire soprattutto da noi». Maria Victoria è nata in Colombia, ha due figlie. Qualche anno fa è arrivata a Verona al seguito del marito italiano. Laureata in Psicopedagogia infantile e con un passato da insegnante, oggi vuole regalare agli altri «quello», dice, «che ho di più prezioso: il tempo». Ecco perché si è offerta come volontaria per il progetto Bazar Solidale della Fondazione Fevoss Santa Toscana. Da qualche mese collabora con il punto vendita di via San Nazaro.
Maria Victoria, cosa intende quando dice che devono essere le donne il motore del cambiamento che porti all’uguaglianza di genere ?
Intendo che dobbiamo essere le prime a cambiare mentalità. Diventare molto più complici, mentre ancora oggi, spesso, siamo le prime a criticarci a vicenda e a giudicare la fisicità o il comportamento delle altre donne. Se fossimo più solidali tra noi, sarebbe molto più difficile anche per certi uomini calpestarci.
Secondo lei perché alcune donne tendono a sminuire le altre?
Abbiamo lo stesso imprinting di molti maschi: ci hanno insegnato, parlo per esempio della mia generazione, che dobbiamo realizzarci come mogli e madri per affermare la nostra femminilità. E in qualche modo sentiamo il bisogno di sbaragliare la concorrenza. Ma non è necessariamente così. L’unica cosa che ci serve per affermarci è credere fino in fondo in noi stesse. Ognuna di noi ha un dono, dobbiamo imparare a scoprire – o riscoprire – il nostro valore. Crescere i figli e le figlie nell’autostima è la cosa migliore che dei giovani genitori possano fare.
Com’è arrivata al Bazar Solidale?
Cercavo un modo per dare il mio contributo, per aiutare gli altri. E ho pensato che ora che i miei figli sono grandi, la cosa più preziosa che posso mettere a disposizione è il mio tempo. Prima del lockdown, lo scorso anno, ho visto l’annuncio con la ricerca di volontari. E ho sposato subito la filosofia del Bazar. E’ bello vedere tante persone che donano abiti o oggetti a cui sono affezionati, per dare loro nuova vita invece che tenerli chiusi nell’armadio o in un cassetto. Parlare con loro e ascoltare le loro storie fa bene a loro e a noi.
Lei è originaria di un Paese straniero. Come ha vissuto l’integrazione nella nuova realtà veronese, prima di diventare cittadina italiana?
Le difficoltà ci sono state, soprattutto diversi momenti di imbarazzo all’inizio per incomprensioni dovute alla lingua. Anche per questo mi sento particolarmente vicina a parte della nostra clientela del punto vendita di Veronetta, costituita da famiglie – soprattutto donne – immigrate. Io, personalmente, mi sono sempre sentita accolta. Sono stata fortunata, non ho mai vissuto sulla mia pelle l’esclusione per colpa della mia provenienza o discriminazioni di stampo razzista. E mi piacerebbe che nessuno e nessuna dovesse più viverle.
Qual è l’augurio che si sente di fare alle donne per l’8 Marzo 2021?
Di diventare, se non lo sono già, donne libere. Nel mio Paese ho lavorato per molto tempo nel volontariato con persone con problemi di droga e altre dipendenze. E penso alle ragazze che non riescono a lasciare un fidanzato violento o semplicemente a quelle più insicure, convinte di avere bisogno di un uomo sempre accanto: anche questa è una forma di dipendenza. Che nel 2021 non dovrebbe più esistere.