La perdita di specie agricole è uno dei fattori della crisi ambientale complessiva e anche un elemento di rischio per l’agricoltura. Negli ultimi 100 anni, secondo la FAO, sono scomparse dai campi tre specie coltivate su quattro: un grande patrimonio di biodiversità continua a svanire sotto i nostri occhi. Inoltre, i semi delle piante alimentari provengono per il 60% da sole quattro grandi aziende e questi semi sono selezionati per l’agricoltura intensiva, alimentata dalla chimica di sintesi. Ma l’agricoltura convenzionale contribuisce all’11% delle emissioni di gas serra, al netto dell’allevamento e dell’inquinamento provocato dal settore agroalimentare, secondo i dati dell’IPCC Intergovernmental Panel on Climate Change. Per invertire la rotta della crisi ambientale serve quindi intervenire sul settore primario, servono anche altri semi che, necessariamente, sono frutto di una ricerca specifica. In questo contesto, considerando il clima che cambia, è stata selezionata la prima varietà di grano duro per il biologico dall’incrocio di varietà di frumento delle aree del Mediterraneo. La nuova varietà, il cui nome è “Inizio”, nasce da una ricerca che ha visto la collaborazione del CREA di Foggia assieme a Peter Kunz, esperto svizzero di selezioni in biologico, e finanziata da NaturaSì e Cooperativa Gino Girolomoni. La ricerca è partita nel 2016, ripresa poi dalla Fondazione Seminare il Futuro e dal Centro di ricerca agro-ambientale dell’Università di Pisa, dove sono stati realizzati incroci impiegando varietà moderne e antiche. Il bisogno di semi adatti all’agricoltura biologica e biodinamica italiana ha portato NaturaSì a finanziare il progetto, destinato ad evolversi e a produrre nuove varietà di grano duro.
“Abbiamo chiamato ‘Inizio’ questa prima varietà di grano duro adatta all’agricoltura biologica proprio perché solo di un inizio si tratta. Il processo di selezione sta andando avanti per arrivare ad ottenere anche altre varietà con le caratteristiche ottimali per chi svolge agricoltura biologica”, spiega Federica Bigongiali, direttrice della Fondazione Seminare il Futuro. “Il biologico ha bisogno di piante con radici ramificate e profonde, in grado di andare a cercare il nutrimento che non viene fornito in forma immediata dai fertilizzanti chimici di sintesi. E abbiamo bisogno di varietà che crescano in altezza, per contrastare lo sviluppo di erbe infestanti, dato che il bio non utilizza diserbanti chimici. I grani antichi non bastano per assicurare qualità e rese all’altezza di un’agricoltura che guarda al futuro e che si estenderà sul 25% dei campi europei, secondo quanto indica la Strategia Farm to Fork. Per noi questo è effettivamente un risultato importante, che lanciamo nella Giornata mondiale dell’Ambiente proprio perché vogliamo dare un contributo alla selezione di varietà per una agricoltura che tuteli l’uomo e l’ambiente.”
“La ricerca è solo all’inizio: al biologico serve una ricerca continua per ottenere sementi adatte a chi pratica questo tipo di agricoltura. In questo percorso sarà importante anche la collaborazione con gli agricoltori nella selezione di quelle che saranno le varietà coltivate nei loro campi”, sottolinea Fausto Jori, amministratore delegato di NaturaSì. “La crisi internazionale alimentare seguita alla pandemia, alla siccità dello scorso anno e infine anche alla guerra in Ucraina dimostra che dobbiamo potenziare le nostre riserve strategiche di cibo di qualità come di energia pulita e rinnovabile’’.