Secondo addetti ai lavori, giornalisti e calciatori, Arrigo Sacchi, che compie oggi 75 anni, è stato uno dei più grandi innovatori non solo del calcio italiano. Da piccolo raccontano che tifasse l’Inter e che amasse andare a San Siro a vedere qualche partita dei nerazzurri. Per mettere a tacere queste voci, nella stagione 1989-1990 porta il Milan sul tetto del mondo, vincendo la Supercoppa UEFA contro il Barcellona e la Coppa Intercontinentale battendo a Tokyo i colombiani dell’Atletico Nacional. A mettere tutti d’accordo, la grande passione di Arrigo per il calcio, nonostante una carriera già scritta come venditore di scarpe. Il padre infatti gli aveva riservato il ruolo di addetto all’ingrosso all’interno della propria azienda, mandandolo in giro per l’Europa alla ricerca di nuovi clienti nel mondo delle calzature.
Ma la sua massima aspirazione professionale era un’altra: non riesce a stare lontano dai campi da calcio. Inizia così ad allenare nei dilettanti, sedendosi sulla panchina del Fusignano, squadra del suo paese natale a pochi chilometri da Ravenna in Emilia-Romagna. Nella stagione 1982/83 va a Rimini in C1, l’anno dopo alle giovanili della Fiorentina e nel 1984/85 di nuovo a Rimini; prima di trasferirsi a Parma. Alla guida dei Ducali ottiene la promozione in Serie B, ma soprattutto si mette in luce battendo in Coppa Italia a San Siro il Milan allora allenato da Liedholm.
Un passaggio fondamentale per il suo percorso da mister, perché in quell’occasione Silvio Berlusconi, neo Presidente dei rossoneri, ne rimane così estasiato da decidere di portarlo a Milano la stagione successiva. Saranno quattro anni ricchi di successi, vincendo tutto quello che si poteva vincere: lo scudetto nel 1987/88, una Supercoppa Italiana (1989), due Coppe dei Campioni (1988/89 e 1989/90), due Coppe Intercontinentali (1989 e 1990) e due Supercoppe Europee (1989 e 1990).
Il segreto dei suoi successi? Invece di uniformarsi al canovaccio tattico in voga negli anni in cui ai vertici del calcio italiano c’era il Napoli di Maradona, che si schierava, come la stragrande maggioranza delle squadre, in modo tradizionale, Sacchi, ispirandosi al modello olandese, decide di mandare in campo il Milan in un rivoluzionario 4-4-2. Il suo progetto ideale di squadra si poggia infatti sul concetto di “calcio totale”, in cui ogni giocatore abbia compiti importanti sia in fase difensiva che offensiva, dove la collaborazione assuma un aspetto rilevante.
“Oramai nel calcio moderno il vero sistema di gioco è il movimento” – ha dichiarato tempo fa – “Partivamo col 4-4-2 ma non ci stavamo mai: spesso avevamo due difensori, un centrocampista e sette in avanti. E io chiedevo sempre cinque giocatori oltre la linea del pallone. Non a caso l’Uefa ha eletto quel Milan la migliore squadra di tutti i tempi. E secondo me eravamo più forti dei fenomeni di adesso”.
Dal 13 novembre 1991 Sacchi subentra ad Azeglio Vicini come commissario tecnico della Nazionale Italiana, con la grande delusione del Mondiale 1994 negli Stati Uniti, dove il titolo sfuggì ai calci di rigore contro il Brasile.
Il suo ultimo incarico è stato alla guida del Parma. Qui però qualcosa in lui inizia a cambiare, non si diverte più come un tempo. Colpa del troppo stress, dell’eccessiva fatica e delle tensioni a cui è sottoposto, che lo inducono a mollare tutto dopo appena tre giornate, con una vittoria 2-0 sul campo del Verona; perché per la prima volta la partita non gli aveva portato “Con 27 anni di stress mi sono pagato la serenità assoluta oggi”. Auguri Mister.
Jacopo Segalotto