“Arrestato Tortora, è un camorrista” Il 17 giugno il conduttore Tv ammanettato: la storia gli darà ragione, troppo tardi...

Enzo Claudio Marcello Tortora, conduttore televisivo morto nel 1988, vittima di indagini condotte in modo superficiale. Venne accusato di avere rapporti con la mafia, in particolare la Camorra e di essere implicato nel traffico di droga. Tutto falso: Tortora, si scoprì il 15 settembre del 1986, due anni prima della sua morte, essere estraneo ai fatti. Sentenza confermata sia dalla Corte d’Appello di Napoli che che da tutti i Cassazionisti. Questo sbaglio, se si può definire tale visto che è costato la galera al giornalista per molto tempo, non stupisce guardando il “caso Tortora” con gli occhi di oggi e assistendo allo sgretolamento della magistratura.
In merito a quanto l’opinione pubblica fosse disinformata e fuorviata, Sciascia, scrisse: “Quando l’opinione pubblica appare divisa su un qualche clamoroso caso giudiziario – divisa in “innocentisti” e “colpevolisti” – in effetti la divisione non avviene sulla conoscenza degli elementi processuali a carico dell’imputato o a suo favore, ma per impressioni di simpatia o antipatia. Come uno scommette su una partita di calcio o su una corsa di cavalli. Il caso Tortora è in questo senso esemplare: coloro che detestavano i programmi televisivi condotti da lui, desideravano fosse condannato; coloro che invece a quei programmi erano affezionati, lo volevano assolto”.
Anche Vittorio Feltri, che di quel processo ha scritto quando era una penna di spicco del Corriere della Sera, ha affermato, nel lontano 1985 sulla Domenica del Corriere di aver assistito “a cose turpi”: “Ho avuto l’impressione di uno scoppio di irrazionalità, di una specie di tifo cieco analogo a quello degli stadi, alimentato, per giunta, dall’antipatia dell’imputato e dal suo modo ora goffo ora insolente, di difendersi. Un collega lo odiava perché con la Tv aveva strappato un facile successo, e scordava che, se il successo fosse facile, l’avrebbe avuto anche lui. Ha inciso anche la sua popolarità: troppa per essere perdonata da chi non ne ha affatto”.
Prosegue poi Feltri con una considerazione che è impossibile non sposare, perché, la televisione può certo dare successo a chi la fa, ma al contempo può gettare nel baratro mediatico: “Della vicenda giudiziaria due cose mi avevano colpito. E insospettito. Il fatto che il cosiddetto blitz, che aveva portato in galera lui e altri ottocento e passa imputati, fosse avvenuto una settimana prima delle votazioni politiche; e che gli agenti, pur di far riprendere Tortora dalle telecamere, con tanto di manette e di scorta, gli occhi smarriti e il volto pallido, lo avessero tenuto in questura sei o sette ore, in attesa della luminosità adatta alla massima resa delle immagini”.
A seguito della condanna di Tortora, conclude Feltri, “Qualcuno ha stretto i pugni dalla felicità, altri hanno sorriso, sia pure con moderazione, dato il momento. Era come se la loro squadra avesse segnato in trasferta. E alla sera, ho saputo, hanno brindato: alla faccia di Tortora”.

Christian Gaole