La sensazione è quella dello svenimento imminente, ma prima della perdita di coscienza interviene il defibrillatore. E non senza dolore. Una condizione sopportabile quando le tachicardie ventricolari causate da gravi cardiomiopatie dilatative sono rare, ma nei casi in cui si scatenano anche una ventina di “storm aritmici” al mese non rispondenti ai farmaci, l’aspettativa e la qualità di vita peggiorano fatalmente. E’ il caso dei tre pazienti che da marzo ad oggi (l’ultimo giovedì scorso) sono stati sottoposti all’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar (Verona) a un trattamento innovativo e non invasivo chiamato STAR o radioterapia stereotassica ablativa per le aritmie.
Si tratta di una metodica promettente che coniuga cardiologia e radioterapia, questa normalmente impiegata nella cura di tumori. Essa richiede un’elevata esperienza nell’impiego di alte tecnologie sia nel campo radioterapico che cardiologico. Per tutti questi motivi sono ancora pochi i centri al mondo ad effettuarla: l’IRCCS di Negrar è quello che registra in Italia la casistica più alta con tre pazienti finora trattati ed è l’unico ospedale ad effettuare un trattamento totalmente non invasivo, anche per quanto riguarda la parte diagnostica, grazie all’utilizzo di uno speciale elettrocardiogramma indossabile dal paziente come un corpetto.
Per la cura multidisciplinare delle gravi cardiopatie si apre quindi una nuova prospettiva che potrebbe interessare i 750 pazienti in Italia affetti da queste patologie, una piccola ma importante percentuale, in termini di costi umani e sanitari, delle 15mila persone portatrici di pacemaker.
La procedura si svolge in un’unica seduta della durata di pochi minuti, nel corso della quale le aree del cuore dove nascono le aritmie vengono colpite da un fascio di radiazioni ionizzanti con precisione millimetrica, creando una cicatrice omogenea tale da interrompere il “cortocircuito” cardiaco. Attualmente le loro condizioni sono buone.
“Le linee guida prevedono il trattamento di questi pazienti con ablazione transcatetere che utilizza la radiofrequenza veicolata attraverso cateteri che vengono posizionati nel cuore, nel punto in cui è presente il ‘cortocircuito’ che fa scatenare le aritmie – spiega il dottor Giulio Molon, direttore della Cardiologia – Si tratta di una procedura ad alto rischio in persone il cui quadro clinico è già gravemente compromesso da infarti pregressi e da aritmie frequenti controllate dal defibrillatore. Il defibrillatore della prima paziente, che abbiamo trattato a marzo in piena pandemia, per esempio, ha registrato 104 aritmie in tre mesi, un ‘super lavoro” che ha portato alla sostituzione precoce del dispositivo. In questi casi le armi convenzionali che disponiamo – farmaci e ablazione transcatetere – sono inefficaci o ad alto rischio. La radioterapia, invece, dà buoni risultati. Se la terapia si dimostrasse efficace e sicura su ampi numeri potrebbe essere applicata in futuro a ogni tipo di aritmia”.
“E’ un metodo già conosciuto e utilizzato in oncologia”
“STAR è un’estensione della radioterapia stereotassica, già nota come efficace e poco invasiva in oncologia, nel campo cardiologico”, spiega Filippo Alongi, direttore della Radioterapia Oncologica Avanzata del “Don Calabria” e professore associato all’Università di Brescia. “Impiegata correntemente per il trattamento dei tumori primitivi o metastatici, questo tipo di sistema consente l’erogazione di alte dosi direttamente sul tumore. Lo stesso meccanismo avviene nelle aree del cuore che scatenano le aritmie. Si viene così a formare una cicatrice omogenea che impedisce il formarsi del ritmo anomalo”.
Per identificare nel modo più accurato possibile il sito specifico da trattare e salvaguardare il resto del cuore, per la prima volta in Italia sono state utilizzati in questo trattamento esami diagnostici totalmente non invasivi come la risonanza magnetica cardiaca, la PET, la Tc e un innovativo sistema indossabile dallo stesso paziente.
“Tecnicamente è un Elettrocardiogramma – illustra Molon – ma si presenta come un corpetto totalmente coperto da elettrodi. Questo consente dopo esecuzione di Tc di aver un mappaggio tridimensionale completo del muscolo cardiaco all’interno del quale individuare perfettamente la sede da trattare”.