Geniale il volume del poeta veronese Gilberto Antonioli. Fra i molti “svelamenti” della sua poesia, nei suoi versi prevale il “sentimento della natura” in cui soggetto e oggetto coincidono.
Si tratta di una delle molteplici “tonalità” delle sue raccolte, nelle quali l’esperienza di vita maturata dal poeta non offusca (come potrebbe altrimenti essere poeta?) quello stupore che, nonostante tutto, si ripresenta innanzi la bellezza e il mistero del mondo.
La poetica di Gilberto Antonioli racchiude un significativo valore ermeneutico per chi si avvicina alla poesia e dal quale si possono trarre preziosi insegnamenti. E ancora notiamo una importante caratteristica che il poeta concede al silenzio.
Il silenzio si ascolta dando fondo alla nostra sensibilità più profonda, alle nostre qualità più delicate. Egli può portarci dentro spazi d’estasi mute, di pensieri raccolti e sognanti, per arrivare a un dialogo interno che diventa sereno o tempesta. Nel silenzio l’uomo concentra le varie angolature della natura, i reclami del mondo animale, le sue tesi più audaci e nascoste; e se si trova in questa situazione, perché l’uomo non può dirsi poeta?
Le riflessioni che ognuno conduce, spesso senza saperlo, sono affidate al verso, alla tela, a un piccolo tronco che attende di prendere forma e vigore. Se saranno affidate al silenzio, alla metafora che avvolge il pensiero, libereranno spazi in penombra e tempo senza orizzonti.
Quando il rumore sbatte i suoi gangli nel cuore del verso, assume il sapore ritmato di una marcia, di una fuga, di un coro che inquadra le sue impostazioni, abbreviando i tempi e le note, per dare il senso di qualcosa che trema e non accetta movimenti tranquilli.
È allora che avvertiamo (forse) spaccati che spezzano il ritmo in istanti.
Questa poesia che qualcuno, in un momento di noia, si accinge a leggere non è certamente una poesia della quiete, dell’abbraccio che dura minuti, ma soltanto poesia della tregua, dell’incerto che si china perdente, di momenti di ricerca sofferta, non violenta ma fragile e casta, come fragile è il gioco dell’onda e casto lo sguardo del bimbo.
Antonioli è poeta dotato di una ricchezza di linguaggio, uguale e diverso, che sorregge un pensiero accidentato, speculativo, creativo, frammentato, ma sempre intenso nei sentimenti, nell’umanità, nella speranza; stati d’animo che si fondono nel dubbio più profondo, ma sempre in grado di risalire, con andatura, ora affrettata, ora molto lenta, verso l’alto, mentre si sparge il profumo delle lacrime, che bagnano la distratta pianura, oppure la ridente collina.
Il tutto e tanto altro ancora si nota nel percorso poetico di Antonioli. Percorso che si avvale di doti naturali notevoli che gli permettono di essere chiamato poeta sia che si cimenti nella lingua italiana sia che si esibisca nel dialetto della sua terra.
Poeta completo, perciò, sia per le tematiche, sia per la musicalità dei versi. Sia per l’abilità nelle due maniere espressive da lui adoperate.
Qui unisce prosa e poesia in maniera mirabile. La MIA TERRASANTA è un esempio di capacità e di sensibilità fuori del comune.