Andrea Segre e le tematiche spinose Il regista è tornato con il film biografico su Enrico Berlinguer dopo L’ordine delle cose

Nato come regista di cinema documentario e recentemente dedicatosi, con ampio successo, al cinema di fiction d’impronta sociale, Andrea Segre torna dietro la macchina da presa con un inatteso film biografico sull’Enrico Berlinguer degli anni 1973-1978 e lo fa con uno stile tutto suo. La Grande Ambizione, nelle sale dal 31 ottobre scorso, è infatti un film sulla politica, dai forti riferimenti storici e diretto con una sobrietà registica e di scrittura tali da farci dire che, nelle mani del regista veneto, qualsiasi storia sembra poter assurgere a metafora universale. Proprio a Segre dedichiamo dunque questa puntata della rubrica sulle chicche nascoste delle piattaforme streaming, consigliandovi di recuperare su Rai Play il suo L’ordine delle cose.
L’ordine delle cose (2017) – Rai Play
Andrea Segre non è appunto nuovo a tematiche spinose come quelle dell’immigrazione, affrontate già nei precedenti film Io sono Li e con il documentario Mare Chiuso. In L’ordine delle cose però sembra davvero aver fatto un passo avanti nella volontà di affrontare il tema dell’identità e dell’immigrazione privilegiando l’aspetto umano senza scadere in nessuna faciloneria di giudizio.
Il film sorprende fin dalla scelta del protagonista: Corrado, uomo misurato e amante della scherma, è un alto funzionario del Ministero degli Esteri e ha il delicato compito di muovere gli equilibri politici sullo scacchiere dei rapporti tra Italia e Libia in questione di immigrazione. È capace destreggiarsi tra le autorità politiche e gli interessi economici delle due nazioni per bloccare il flusso di migranti diretto verso le coste italiane, finché lo scontro con la cruda realtà di un carcere per migranti sulle coste libiche non interpella in modo incontrovertibile la sua umanità.
Il carisma del personaggio si delinea tramite poche, efficaci sequenze già nei primi minuti, e si evolve nel corso della storia in una serie di sfumature e di sotto-narrazioni che mirano a creare una certa empatia con lo spettatore, il quale inevitabilmente lo elegge ad eroe della storia; una sceneggiatura intelligente e frutto di un evidentemente lungo studio della realtà politica trattata, pone la storia al di sopra degli slogan, puntando direttamente all’antica dicotomia tra bene e male, tra la ragione di Stato e il cuore dell’uomo, che non è mai indifferente di fronte al desiderio di felicità di chi non ha nulla se non la speranza di potersi ricostruire. E allora ecco che il film si snoda nell’arduo percorso del protagonista, continuamente sul filo del rasoio tra contingenze e scelte che potrebbero rivoluzionare la vita di molti (compresa la propria), trasferendo spesso il peso di tali scelte sullo stesso spettatore, che nonostante alcune lungaggini percepisce su di sé la tensione della storia fino alla fine della narrazione. Un film forse ben equilibrato, che ha anche il grande pregio di portare alla luce le trame più drammatiche della questione dell’immigrazione, quelle troppo spesso passate in sordina eppure così incredibilmente vicine alla nostra quotidianità.
Maria Letizia Cilea