Xenia Francesca Palazzo ha brillato alle Paraolimpiadi di Tokyo con le sue 4 medaglie nel nuoto.
Classe 1998, è originaria di Palermo. La sua vita comincia subito in salita. Appena venuta alla luce, una CID (coagulazione intravasale disseminata) le provoca una grave emorragia celebrale. La prognosi dei medici è lapidaria: “incompatibilità con la vita”.
Tuttavia, i genitori di Xenia non si danno per vinti. Sua madre sceglie di farle fare terapia in piscina, fin da quando ha 3 mesi. Piano, piano, i risultati iniziano a vedersi. La bambina, inoltre, comincia ad appassionarsi al nuoto.
Xenia si trasferisce con la sua famiglia a Verona a 10 anni. Qui ha presto inizio la sua attività agonistica, debuttando nelle gare nel 2012. Tutt’ora, l’atleta fa parte del Verona Swimming Team.
Nel 2016, la giovane raggiunge un enorme traguardo. Riesce, infatti, a entrare nella squadra italiana selezionata per le Paraolimpiadi di Rio.
5 anni dopo, a Tokio, arrivano, invece, suoi primi successi paraolimpici. Vince un oro nella Staffetta 4×100 m stile libero e un argento nei 200 m misti (categoria SM8). Ottiene poi due terzi posti, nei 400 m stile libero (S8) e nei 50 m stile libero (S8).
Buongiorno Xenia, raccontaci un po’ delle Olimpiadi di Tokyo …
“L’esperienza di Tokyo è stata una delle più belle che ho avuto perché mi sono successe tante cose inaspettate. Per esempio, anche queste quattro medaglie … non mi aspettavo di prenderle. Io speravo almeno in un bronzo, se mi andava bene”.
Una delle gare più intense è stata quella dei 200 misti…
“È stata una gara che mi ha tanto fatto tanto emozionare e anche piangere perché non mi aspettavo di prendere l’argento . Sapevo che c’era una russa che mi poteva dare Quindi, ho dato tutto il possibile, tutte le mie forze. Tanto è vero che sono riuscita a prendere l’argento, migliorando il mio record italiano di 1 secondo, che non è poco. Poi, salire sul podio con una grandissima atleta e pluricampionessa paraolimpica come Jessica Long, la statunitense, è stata un’emozione bellissima”.
A proposito di Jessica Long, vi siete parlate proprio al termine di quella gara. Che vi siete dette?
“Sì, me lo ricordo perché Jessica mi ha visto piangere , non riuscivo più a trattenere le lacrime dalla commozione. Mi ha fatto i complimenti per l’argento. Appena sono riuscita a dirle che è un mio idolo e che il fatto che stesse con me sul podio era un grandissimo onore, mi ha aiutato tanto perché lei mi ha abbracciato e in questo abbraccio mi ha proprio ‘consolato’ le lacrime”.
Altri momenti che ricorderai dell’olimpiade?
“Allora, i momenti più belli sono tutte e 4 le medaglie che ho preso”.
C’è qualcosa che vuoi migliorare a livello di performance?
“Sì, beh, un po’ le partenze. Perché io ho le partenze un po’ lente per via della mia patologia. Migliorare il tuffo è fondamentale. Perché se lo miglioro secondo me un mezzo secondo lo potrei anche limare. Poi, migliorare qualche virata sarebbe molto importante”.
Tokyo è stato il debutto paraolimpico di tuo fratello Misha…
“Eh, bellissimo. Essere in due della stessa famiglia è sempre una forza in più. Ci aiutavamo sempre. Se avevamo, per esempio, bisogno di qualcosa, ci aiutavamo a vicenda. Ci parlavamo”.
Quale tipologia di gara ti piace maggiormente disputare?
“Allora mi piace gareggiare in tutto, nelle gare che ho fatto. (…) Comunque, io preferisco, come abilità mia, fare le gare dai 100 m in su. Perché più la gara è lunga e meglio è, per me”.
Tu ti sei avvicinata alla piscina per le terapie. Cosa ha fatto scattare la passione per l’agonismo?
“In questo la mia mamma mi ha spronato, perché vedeva che in acqua stavo meglio. Fuori dall’acqua ero dura come una pietra. Invece, in acqua mi rilassavo. E poi (mia mamma) vedeva che con queste terapie in acqua io, anno dopo anno, avevo qualche miglioramento. (Quindi), mi ha indirizzato verso l’agonismo”.
Comunque tu continui ancora oggi. Qual è la spinta?
“A me piace tutto del nuoto. Il senso di stare in acqua, il senso di percepire sensazioni diverse dalla terraferma, cioè di benessere. Poi, io ho tanti amici grazie al nuoto. Ci scriviamo e ci sentiamo’ Arrivare ai mondiali o alle olimpiadi vuol dire, soprattutto per atleti con disabilità, affrontare molte difficoltà. Cosa vi dà la forza? O almeno, cosa la dà a te?
“Allora, comincerei (dicendo che) io queste quattro medaglie le stavo preparando, sognando, contando tutte le mie terapie, da 23 anni e 4 mesi. Praticamente la mia età anagrafica. Tutto quello che ho fatto per arrivare qua, tra allenamenti e cose varie … cioè uno per capire come sono riuscita a fare certe cose deve vederle dal vivo. A parole è molto difficile da spiegare”.
“Noi atleti paraolimpici facciamo il triplo della fatica che fanno i ‘normal’, se posso dire, per arrivare agli stessi obbiettivi. A noi dà la forza lo sport. Perché a noi lo sport dà più soddisfazioni di qualsiasi altra cosa. Cioè per noi lo sport è, se posso dire, una droga benefica. Ci fa veramente stare bene”.
Parlaci della tua recente entrata nelle Fiamme Azzurre …
“Quest’anno sono entrata nelle donne delle Fiamme Azzurre. Per me è un onore rappresentare anche i loro colori perché, non lo nascondo, è un mio desiderio, un mio sogno, diventare una poliziotta penitenziaria a tutti gli effetti”.
Quindi questo è uno dei tuoi obiettivi…per il dopo carriera…”
Ma anche prima … anche se avvenisse durante. Siamo tanti atleti che facciamo parte di qualche gruppo sportivo militare. Diventarlo a tutti gli effetti sarebbe un sogno per tutti. Io lo spero tanto, perché a fine carriera vorrei fare la poliziotta penitenziaria a tutti gli effetti.“
Cosa significa per te Verona?
“Essendo veronese d’adozione, Verona praticamente mi ha aperto le porte. Mi ha dato tantissime opportunità dal punto di vista sportivo e io qua a Verona sono praticamente sbocciata, se si può dire, con la mia carriera. È qui che tutto è cominciato. E ringrazio tantissimo Verona e il Veneto che mi hanno accolto. Spero che queste quattro medaglie siano un ringraziamento a Verona e al veneto per quello che hanno fatto per me”.
“Allora, lo sport paraolimpico, per prima cosa, sta crescendo ogni anno praticamente in tutti gli sport. Poi, cosa posso dire ancora Bisogna avere tanta pazienza per imparare i gesti tecnici e quant’altro. L’unica cosa che spero adesso è che dopo di Tokyo tanti ragazzi, anche giovani, si appassionino allo sport che piace a loro di più e lo pratichino. E spero che passi il messaggio alle famiglie, ai ragazzi che hanno problematiche simili alle nostre. Lo sport ti aiuta a ricominciare. Ti insegna a lottare”.
Gio. Sil.