L’Amleto di Shakespeare torna al Teatro Romano il 4 e 5 luglio ad aprire l’Estate Teatrale Veronese 2024, con la prima nazionale dell’adattamento e regia di Davide Sacco, con Francesco Montanari, Franco Branciaroli, Sara Bertelà, Gennaro Di Biase, Francesco Acquaroli.
Amleto al teatro Romano: la trama
Le trame e i giochi di potere si consumano tra il freddo e la neve fuori e il bianco e nero imperante all’interno: Amleto, principe di Danimarca, si è rifugiato nel teatro di palazzo fatto costruire dal defunto padre. Lì passa le sue giornate davanti a un telo da proiezione con cui ha messo su il suo personalissimo cinema. E lì lo troviamo quando si apre il sipario, elegante, in smoking, ma dimesso, con il papillon slacciato e la giacca buttata tra le poltrone di velluto rosso.
Continua a guardare lo stesso film, anzi, solo l’inizio, la notizia d’apertura del cinegiornale di due mesi prima: “Amleto, re di Danimarca, è morto, avvelenato da un serpente”. Quel breve messaggio per informare la nazione continua a passare davanti ai suoi occhi, seguito da filmati del padre che lo mostrano nel pieno del suo vigore, in battaglia e nei momenti felici. Ed è a questo punto che il fantasma del padre prende vita e rivela ad Amleto la verità che è destinata a sconvolgere i suoi giorni: la sua morte non è stata un terribile incidente, ma l’opera del fratello Claudio, adesso re al suo posto e sposo di Gertrude, madre di Amleto. Compito del figlio, ora, è la vendetta. E Amleto si mostra pronto.
Il fantasma del padre, però, non svanirà con l’arrivo del giorno, resterà accanto a lui, presente forse più che in vita, condizionando le sue azioni e i suoi pensieri. Sarà lui, da questo momento in poi, a portare avanti la trama del- la vendetta, tessendo una tela che non lascerà scampo ai comprimari di questa storia e trasportando tutti al tragico epilogo finale.
Vittima principale della vicenda sarà Ofelia, sedotta da Amleto e abbandonata al suo triste fato quando orfana e disonorata sarà costretta a spogliarsi della femminilità e della vita. Re Claudio mostra le contraddizioni di un uomo che brama sì il potere, ma che è anche capace di amare realmente la donna che ha a fianco e di agire con saggezza e affetto nei confronti del figliastro.
Attorno a loro, si muovono le vite della regina Gertrude, dei viscidi Rosencrantz e Guildenstern, del riflessivo Polonio e dell’irascibile Laerte, e infine del fedele Orazio a cui, come da tradizione, andrà il compito di raccontare la triste storia di Amleto.
NOTE DI REGIA
Affrontare Amleto significa approcciare a una tradizione teatrale internazionale vivissima e profondissima. La scelta di questo progetto nasce da una ricerca personale e artistica sul tema dell’eredità e del confronto padri/figli, nonché sul passaggio generazionale. In questo senso, Amleto è per me il testo che maggiormente mi permette di affrontare questi temi.
Nella mia visione, Amleto e il padre (non a caso Shakespeare li chiama entrambi Amleto) sono le due facce della stessa moneta, si assomigliano così tanto da diventare lo stesso personaggio. E Amleto figlio è così ossessionato dal padre perso che si trasforma in lui per vendicarlo, e Amleto padre è così connesso al figlio da non riuscire a lasciarlo andare, a lasciarlo crescere, a lasciarlo decidere in autonomia.
Non è un caso che le età del cast siano tutte sfalsate di vent’anni rispetto all’originale. Non volevo che nello spettacolo ci fosse l’incoscienza della gioventù (forse l’unico personaggio che agisce senza riflettere è Laerte, in questa versione ancora più irascibile e violento), ma volevo che passasse la consapevolezza dell’età, l’essere orfani in età già adulta ma ugualmente impreparati a vivere, perché non si hanno avuto dai padri le giuste basi per avanzare o perché, semplicemente, non si è pronti. In questo contesto, mentre i due Amleti (che condividono la parte testuale di Shakespeare) tessono il loro piano, riflettono e machiavellicamente agiscono (con il contraltare di Claudio, altrettanto riflessivo e costruito nell’escogitare il piano che lo manterrà al potere), assume forza il ruolo di Ofelia. Sarà lei alla fine l’unica a decidere realmente della sua vita, con un gesto netto e definitivo: il suicidio.
Polonio, Rosencrantz e Guildenstern, la Regina, Laerte e Orazio gravitano intorno ai quattro protagonisti della vicenda e ne seguono e condizionano le sorti, ma senza poter realmente entrare nel loro mondo di dolore e oscurità. Gli anni Trenta rappresentano lo spaccato del secolo, quel momento in cui il mondo, piano piano, va alla rovescia come ci racconta Shakespeare, gli spettri dell’Europa aleggiano sugli uomini, rendendo uguali principi e operai. Un mondo nuovo da lì a breve si sta per costruire, un mondo oscuro, da lì a breve, si sta per compiere.
Sembra che una paura aleggi nell’aria, tutto cambia così velocemente, la tecnologia, le scienze, la politica che l’essere umano si ritrova solo davanti al suo destino, solo e impreparato.
La drammaturgia resterà estremamente fedele al capolavoro shakespeariano, sfrondando le scene per rendere più impellente e ineluttabile l’epilogo, con impor- tanti operazioni di riassegnazione delle battute centrali che, cambiando d’interprete, non cambiano però nella loro forza e significato.
La scenografia sarà un teatro di palazzo adibito da Amleto a cinema, un luogo franco in cui le visioni possono materializzarsi e i fantasmi prendere forma, che verrà poi smantellato per diventare la tomba di Ofelia e il terreno del tragico duello tra Amleto e Laerte.
Attorno al cinema, stanze nere a raffigurare gli altri ambienti del palazzo, zone oscure per oscuri pensieri e macchinazioni. Centrale poi nella visione drammaturgica è diventata la battuta “Chi vive?”, traduzione montaliana dell’inglese “Who’s there?” che apre il primo atto dell’opera.
Il poeta ha intenzionalmente modificato “Chi va là?” con “Chi vive?”, creando un’interessante ringkomposition fino all’epilogo in cui, di vivo, resta molto poco. Ecco quindi Amleto, una tragedia di morte che inizia con “chi vive?”, una tragedia di morte che della vita si nutre e che, alla vita, restituisce il suo pegno.
Davide Sacco