Quando era al Palermo era tra i bomber più fortì d’Italia e forse d’Europa. E dire che lo chiamavano Calimero da giovane. Oggi che ha smesso col calcio giocato, vorrebbe insegnare ai più giovani cos’è davvero il pallone in campo e fuori. Infanzia difficile (“ho lavorato come muratore. Non mi vergogno a dirlo perché questo mi consentiva di guadagnare i soldi per aiutare la mia famiglia. Ho lavorato in un supermercato, in una fabbrica di carbonella e nel settore metallurgico. Ho fatto di tutto e nel frattempo riuscivo a fare qualche provino e ad allenarmi. Tante volte però arrivavo stanco, con tanti pensieri e non riuscivo ad esprimermi al meglio”) poi la svolta nel Santa Catarina, un club di serie B in Brasile, che si trovava a dieci ore da San Paolo. Iniziò a segnare con continuità e non si è più fermato. La Svizzera, poi il Belgio e l’Italia.
In Mls l’ultima vita da calciatore, e adesso? “Oggi faccio tutto quello che non riuscivo a fare quando ero calciatore. Ho più ore a disposizione per me, non sono più sotto pressione settimanalmente. Conduco una vita più tranquilla. In futuro vorrei dare una mano ai ragazzi meno fortunati. Io sono stato scoperto dal nulla. Devo ringraziare Antonio Manzo in Brasile, è stato lui a darmi l’opportunità di allenarmi con Leivinha, un grande ex calciatore degli anni ’70. Vorrei andare in giro a pescare ragazzi bravi che possono fare grandi cose nel calcio. Prenderò il patentino da allenatore, ma non so se voglio farlo davvero… Vorrei fare l’osservatore”.
E il Chievo?
“Decisivo per la mia carriera. Se non avessi fatto bene col Chievo non avrei fatto il salto di qualità. Pillon è uno dei tecnici che ricordo con piacere, come Guidolin, Ranieri e Donadoni. Ho impatrato molto da tutti. Ho ricordi bellissimi dell’Italia e della maglia gialloblù”.