Sulla Terrazza di Giulietta, a ridosso del celeberrimo balcone, domani 19 luglio debutta in prima assoluta Racconto d’inverno, fiaba per voci e figure da The Winter’s Tale di Shakespeare. Adattamento e regia sono di Piermario Vescovo, figure e costruzione di Antonella Zaggia.
Dopo il Museo Lapidario Maffeiano un altro luogo speciale della città ospita una produzione dello Stabile di Verona nell’ambito dell’Estate Teatrale Veronese. Il 20 luglio regista e interpreti incontreranno il pubblico. Dopo la “prima” di martedì repliche il 20, 21, 22, 23, 25 e 26 luglio sempre alle ore 21. In scena Manuela Muffatto, Marika Tesser e la stessa Zaggia. I costumi sono di Caterina Volpato, le luci di Nicola Fasoli, la produzione è di Fondazione Atlantide – Teatro Stabile di Verona. Il titolo di questa tragicommedia del 1611 s’ispira a una richiesta che Ermione fa a suo figlio Mamilio: “siediti e raccontami una storia”. “Lieta o triste?” chiede il bambino. La madre la vorrebbe più lieta possibile, ma il figlio risponde che una favola triste è più adatta per l’inverno. Perché l’inverno? Perché è la stagione in cui si raccontano le favole, nelle lunghe notti, davanti al fuoco? Oppure perché è una metafora della vita, che attende, dopo vicende oscure e traversie, una redenzione in tempo d’estate?
“Racconto d’inverno – dice Piermario Vescovo – fa seguito al nostro Titus presentato nell’ambito dell’Estate Teatrale Veronese 2021 e continua un progetto dedicato a Shakespeare che intende unire ‘teatro di persona’ e ‘teatro di figura’. Rispetto alle più ampie dimensioni di durata e organico del precedente spettacolo (otto attrici e un attore-narratore) Racconto d’inverno presenta il respiro di un teatro ‘da camera’, con un piccolo organico e mezzi essenziali. Tre attrici, narratrici e manovratrici di burattini, con un cerchio di spettatori raccolto intorno ad esse, danno vita a questa ‘fiaba con figure’. La prima tentazione di mettere in scena questo testo è venuta dalla sua composita varietà, dalla sua inverosimile mescolanza, quasi da repertorio burattinesco, in cui stanno indifferentemente insieme antico e moderno, e l’oracolo di Delfo sta insieme ad Ermione, figlia dell’imperatore della Russia. Ma più forte e decisiva è sembrata l’irriconducibilità a qualsiasi psicologismo dei personaggi e dei loro improvvisi mutamenti. Li domina, come un burattinaio, il Tempo che opprime e redime: fools of time appunto, zimbelli del suo gioco, secondo la memorabile definizione di Northrop Frye. E Shakespeare lo fa infatti, direttamente, intervenire in scena, in funzione di Coro, a giustificare il salto nella rappresentazione di ben sedici anni, chiedendo agli spettatori di immaginare di avere nel frattempo dormito, rivendicando la libertà del drammaturgo di narrare e mettere in scena allucinazioni e fantasmi, tra il passato e ciò che non è ancora, per mostrare un ‘luccichio del presente’ allo spettatore e sottolineare il ‘divenire opaco’ di ciò che immediatamente svanisce quando lo si rappresenta e racconta. Il presente adattamento ha come scopo proprio quello di fare dell’intreccio l’oggetto stesso dello spettacolo, nella scommessa di dare risalto alla costruzione geometrica del testo. Testo che abbiamo abbondantemente tagliato ma di cui abbiamo conservato la struttura e fedelmente tradotto nelle parti scelte, alternando la prosa al verso come nell’originale’’.