Al museo in compagnia dello sciamano L’opera simbolo dell’allestimento all’Archeologico Nazionale: un vero gioiello

Il Museo Archeologico Nazionale è un vero gioiello architettonico ed espositivo della nostra città, da scoprire e valorizzare. Gestito dalla Direzione Regionale Musei del Veneto e inaugurato nel 2022 con un lungo restauro finanziato dal Ministero della Cultura, dopo molte e diverse destinazioni d’uso (da convento dei Carmelitani Calzati a carcere, da comando della Divisione territoriale a sede degli Uffici finanziari) oggi si presenta al pubblico come un contenitore di preziosi reperti venuti alla luce nelle ricerche archeologiche del veronese.
Il Museo (allestito da Chiara Matteazzi su progetto scientifico di Federica Gonzato e diretto da Giovanna Falezza) alle testimonianze del passato affianca pannelli tematici, video e ricostruzioni virtuali. Il percorso, ancora in fase di espansione e articolato in più sezioni dedicate alle principali epoche storiche, inizia in un suggestivo sottotetto che, con un’installazione immersiva, anticipa alcune immagini dei tesori museali. Tante le opere raccolte tra le quali segnaliamo, solo a titolo esemplificativo, le “stele antropomorfe” (corpi cilindrici con testa stilizzata ritrovati a Sant’Anna d’Alfaedo), la “Venere” (statuetta della “Dea Madre” rinvenuta a Rivoli Veronese) e la “tomba del principe bambino” (sepoltura di un bimbo di cinque anni trovata nella necropoli di Zevio). Il racconto visivo documenta le trasformazioni culturali e sociali scaturite dall’incredibile capacità umana di adattarsi a condizioni climatiche difficili e ad ambienti continuamente mutevoli.
L’oggetto più iconico del Museo (tanto da costituirne, in una sua stilizzazione, il marchio) è lo “Sciamano”, una testimonianza eccezionalmente rara proveniente dalla Grotta di Fumane e, originariamente, posta sulla sua volta d’ingresso. Si tratta di una delle più antiche rappresentazioni antropomorfe esistenti in tutto il mondo che ritrae, su una pietra calcarea dipinta con polvere ocra rossa, una sagoma con due corna sul capo.
L’utilizzo dei pigmenti minerali, grazie ai molteplici vantaggi che questa metodica offriva era largamente diffuso in diverse forme d’arte (pitture rupestri, creazione di oggetti e affreschi). Con i pigmenti si realizzavano vere e proprie narrazioni visive di vita quotidiana e domestica, scene di caccia, di agricoltura o battaglia, riti sacri e propiziatori. Le raffigurazioni colorate assumevano, in tutte le culture e anche nel nostro territorio, valenze fortemente identitarie e comunicative. Le caratteristiche intrinseche della pietra (facile reperibilità, maestosità e apparente indistruttibilità), unite ai segni colorati impressi, rendevano evidente il legame indelebile tra presente e passato. Non a caso erano in pietra le “tavole della legge”, molti emblemi religiosi, ma anche pareti decorate, ornamenti e strumenti d’uso comune. Lasciare una traccia sulla pietra svelava, tramite un linguaggio visuale elementare, il bisogno umano di ricordare e tramandare la propria esistenza. Con questa autorevolezza, il racconto visivo del Museo Archeologico Nazionale di Verona, come in una lezione-spettacolo, contribuisce oggi a espandere l’immaginario collettivo per offrire tanti possibili sguardi su un viaggio che, spiega la direttrice Falezza, “si snoda nei secoli e ci fa entrare nella storia”.

Chiara Antonioli