Aggredisce i poliziotti con l’ascia: ferito E’ accaduto a Padova ed è stato arrestato

Verona-Padova, trova le differenze. il caso Moussa Diarra, il giovane maliano ucciso nel piazzale della stazione di porta Nuova da un colpo di pistola sparato da un agente della polfer torna al centro del dibattito non solo per la conferenza stampa organizzata nel fine settimana dal comitato Verità e giustizia per Moussa, ma anche per un episodio analogo avvenuto a padova. E che ha avuto un finale decisamente diverso. A conferma che anche per Moussa Diarra si poteva agire diversamente. Scrive infatti l’Ansa che “Un cittadino 32enne nigeriano armato di una grossa ascia ha tentato di aggredire due poliziotti, ed è stato arrestato all’alba di stamane a Padova per tentato duplice omicidio. L’uomo, dopo essersi scagliato contro uno degli agenti, che si è riparato dietro l’auto di servizio, ha cercato di colpire anche il secondo che, dopo avergli intimato l’alt ripetutamente, per difendersi è stato costretto a sparargli alcuni colpi, ferendolo ad una gamba. L’uomo, subito soccorso, e sedato, si trova ora in ospedale”. Maggiori dettagli sul Gazzettino e sembra di rivivere le ultime ore di Diarra, tragicamente ucciso. “L’allarme è scattato con una telefonata al 113 che, alle 4 di lunedì 16 dicembre, segnalava in via Trieste (tra la stazione e il centro storico) un uomo esagitato che brandiva un’ascia. Sul posto sono state inviate tutte le pattuglie di zona e i poliziotti per oltre 50 minuti hanno cercato di calmare il soggetto. Fortemente aggressivo, per cercare di sedarlo sono stati utilizzati lo spray al peperoncino prima e il taser poi, senza però riuscire a placarlo. In via Trieste sono stati fatti giungere anche equipaggi dei carabinieri, della polizia locale e un’ambulanza. Alle 5, improvvisamente, l’uomo (poi identificato in un 32enne di nazionalità nigeriana) si è scagliato con l’ascia contro i poliziotti. Uno di loro si è gettato dietro l’auto di servizio mentre un secondo, trovandosi l’esagitato davanti e senza vie di fuga, dopo avergli gridato di fermarsi gli ha sparato alcuni colpi alle gambe con la pistola d’ordinanza. Il 32enne è stato trasferito all’ospedale dove gli è stata riscontrata una ferita alla gamba destra. Si trova ora ricoverato per le medicazioni del caso ed è piantonato. Addosso, oltre all’ascia, gli sono stati trovati due coltelli (uno a serramanico e uno svizzero) finiti anch’essi sotto sequestro”. Poteva finire diversamente anche la tragedia di Moussa Diarra? E’ quanto si chiedono i rappresentanti del comitato. Infatti, come è emerso in conferenza stampa, Moussa, 26 anni, maliano, ucciso il 20 ottobre, non si era drogato e non era ubriaco. Gli esiti degli esami tossicologici sulla vittima introducono nuovi interrogativi sulla dinamica e sulla appropriatezza dell’intervento dei due agenti della Polfer per frenare gli eccessi del giovane, che si era avventato contro le vetrine della tabaccheria e della biglietteria. Nel frattempo spunta un testimone, che avrebbe assistito alla scena e potrebbe raccontare una versione diversa da quella finora fatta propria dalla Procura della Repubblica, sulla base delle dichiarazioni dei poliziotti e dei primi riscontri, che hanno portato alla contestazione dell’eccesso colposo di legittima difesa. L’esistenza di un testimone oculare ha indotto Paola Malavolta e Francesca Campostrini, le due avvocatesse del fratello di Moussa, a chiedere agli inquirenti che venga interrogato. La sua versione potrebbe essere messa a confronto con quella dei due poliziotti e con le immagini delle telecamere interne ed esterne alla stazione, che documentano la sequenza dell’avvicinamento a Moussa e dei colpi sparati con la pistola d’ordinanza. Perché è stata usata un’arma? Qual è stato davvero il suo comportamento? Chi può sostenere che egli impugnasse un coltello e lo brandisse contro gli agenti, così da giustificare i tre colpi di pistola, uno dei quali lo ha raggiunto al torace? Queste alcune delle domande ripetute da Giorgio Brasola, portavoce del Laboratorio Paratodos che a Verona si occupa di immigrati senza casa. “Quella mattina Moussa cercava aiuto – è la denuncia – erano due ore che girava dentro la stazione e nelle zone limitrofe in uno stato di alterazione psicologica e nessuno, dalla polizia locale alla Polfer, ha chiamato un’ambulanza”. A Padova, invece, l’emergenza è stata gestita diversamente. Molto diversamente. MB