“Adesso, ve conto come i ma..ciapà” Il 4 febbraio ‘75, il leggendario presidente dell’Hellas fu rilasciato dai suoi aguzzini

Raffaele Tomelleri

Eccolo lì, don Saverio. Seduto in poltrona, nel salottobuono della sua casa di Borgo Trento. Eccolo lì, bello, sbarbato, elegante, come sempre. Era passato solo un giorno dal suo rilascio, dopo il drammatico rapimento. La sera prima, il 4 febbraio, era tornato a casa. Sporco, acciaccato, spaventato, lui che di paura non ne aveva mai avuto, in vita sua. Lui che aveva visto in faccia la povertà e che l’aveva schivata, grazie alle sue geniali intuizioni.
Le stesse che l’hanno fatto diventare, probabilmente, il presidente più amato della storia dell’Hellas.
Eccolo lì, ricacciate le lacrime della sera prima, quando aveva rivisto la famiglia,quella vera, e anchre la famiglia adottata, quella del “suo” Verona. Erano corsi tutti a salutarlo, don Saverio.E lui s’era commosso, a vedere Zigoni e Luppi, Busatta e Sirena e poi tutti gli altri. “Alora i me vol ben” avevasussurrato prima di scoppiare a piangere. Eccolo lì, don Saverio. Mentre racconta i suoi giorni di prigionia. La paura, la sofferenza, il pensiero del suoVerona e quella preghiera al suo guardiano, in quella cella nascosta chissà dove. “El me fassa sentir almanco la radio”, lo aveva pregato. “El me fassa sentir cosa fa i me butèi…”. Eccoli lì, i “so butèi”. Gli stessi che lui “torturava” con simpatia per il rinnovo del contratto. “Ma seto mato?” era la sua risposta-chiave, di fronte ad ogni domanda. Tirchio? Era una favola, in realtà. Perchè, se c’era da allargare i cordoni, quando serviva, era il primo a farlo. Eccolo lì, don Saverio. A raccontare la felicità del rilascio, di quando aveva visto Domingo, cioè Domenghini, il primo dei suoi giocatori, perchè l’avevano rilasciato proprio a Lallio, il suo paese.
“Paura? mai vuo paura” stava raccontando e pazienza se era il primo a sapere che quella era una piccola-grande bugia. Perchè sì, la paura l’aveva avuta e mai come stavolta era felice di averci “smenato” un miliardo per tornare libero. Eccolo lì, don Saverio, con la sua camicia bianca, a parlare dei suoi carcerieri, “ghe n’era uno che el me parèa Zigoni”, disse sorridendo. E il vecchio Zigo, una volta, nello spogliatoio, matto com’era, aveva avuto il coraggio di rispondergli. C’era don Saverio incazzato e il vecchio Zigo, che la confidenza se la prendeva facile, gli disse. “Ciò Presidente, tasi, parchè se no te fasso rapir n’altra volta”. Questo era Zigoni. Questo era don Saverio.