Addio a “Zuc”, l’ultimo degli artisti Aveva il dono di cogliere gli aspetti caricaturali da mettere in evidenza con la sua matita

Lo avevo incontrato un mese fa in pizzeria, sempre sorridente ma fiaccato dalla malattia: sai non mi possono operare, solo terapie, vedremo… mi disse senza alcuna commiserazione. Giancarlo Zucconelli era così: signorile, mite, quasi schivo, di una eleganza antica che teneva molto ai rapporti umani, alla cortesia, al rispetto. E molto sensibile. E questa sensibilità gli aveva dato il dono di cogliere gli aspetti caricaturali o ironici da mettere in evidenza con la sua matita, senza essere mai greve ma esigendo il rispetto che si deve a un artista che anche quando disegna una semplice vignetta esprime una forma d’arte.
Giancarlo Zucconelli ci ha lasciati ieri sera, a 80 anni, dopo una lunga malattia, sempre con la moglie Lucia e il figlio Paolo al fianco. Toscano di origine, innamorato della sua Maremma, disegnatore, illustratore, fumettista, pittore, ma anche raffinato fotografo (sua una mostra antologica al Centro scavi Scaligeri) è stato per decenni il vignettista del quotidiano L’Arena, riempiendo nei tempi d’oro intere pagine di vignette con il Satirican de la Scala che prendeva di mira politici e amministratori cittadini che facevano finta di arrabbiarsi ma in realtà speravano di essere immortalati da Zuc. Altrimenti non contavi nulla. Ed era attento a non mancare di rispetto nonostante la satira, perché per lui subire uno sgarbo sul piano umano era la delusione più grande.
Grande amico di Milo Manara con il quale andava in vacanza, si frequentava con le rispettive famiglie, si scambiava pareri, collaborava per le illustrazioni. Ricordo che nel 2021 in occasione della mostra su Dante a Verona con le tavole di Zucconelli esposte nella Biblioteca Capitolare, lo stesso Milo Manara volle fare un tributo pubblico all’amico che aveva riportato Dante nei luoghi della Verona del Trecento: “Zucconelli con la sua maestria negli acquerelli, ha giocato ancora di più con l’immaginazione per mettere in luce l’aspetto estetico dell’illustrazione. Riuscendo a ricostruire la luce della città da grandissimo acquerellista, io non ne sarei mai capace». Ma lo stesso Zuc nella sua mitezza tendeva a sottovalutarsi. Ora che non c’è più, però, ci rendiamo conto che lascia un vuoto enorme. Il vuoto dei grandi.
E il minimo che possiamo fare per rendergli ancora una volta omaggio è ripubblicare la sua ultima intervista concessa alla Cronaca di Verona nel maggio dello scorso anno. Ciao Zuc. mb

L’INTERVISTA

Lo spunto arriva sempre dalla cronaca
“I giornalisti mi suggerivano qualche tema, ma poi lavoravo in maniera autonoma”

Per più di trent’anni ha fatto ridere, sorridere, il più delle volte arrabbiare, i politici di casa nostra. Anche se, in fondo, essere presi in giro dalla vignetta di Zuc era diventato quasi uno status symbol: se c’eri, contavi. Giancarlo Zucconelli dal 1985 al 2019 ha collaborato ininterrottamente al giornale L’Arena come disegnatore satirico. Ha pubblicato anche due libri con una raccolta delle sue vignette, “Madonna che Verona” e “Ritratto di Città”. L’ultima sua opera è “Dante nella Verona Scaligera”, volume edito con il sostegno di Fondazione Cariverona e testi di Andrea Mirenda.
I suoi esordi?
“Abitavo a Cologna Veneta, dove ho fatto il liceo scientifico. Nel 1963 ho raggiunto a Milano l’amico Giorgio Scarato, che aveva già iniziato a fare il disegnatore all’Eurostudio dei fratelli Dami, che raccoglieva i migliori disegnatori italiani e lavorava per i principali giornali del Paese. Ci sono rimasto un anno e mezzo. Spesso ospitavamo a dormire Hugo Pratt, che era appena tornato dall’Argentina”.
Poi?
“Sono tornato a casa e ho iniziato a collaborare con la Mondadori e con altre Editrici. Facevo illustrazioni per le copertine dei libri per ragazzi e disegni per pubblicazioni scientifiche. Nel 1966 ho disegnato fumetti d’avventura per l’editrice francese B. Ratier. Dal ‘70 ho lavorato come disegnatore per i volumi della Cassa di Risparmio e per molti studi pubblicitari veronesi”.
Come nasce la collaborazione con il quotidiano locale?
“Fu Cesare Furnari, che qualche anno dopo fonderà Verona infedele, a presentarmi il direttore Giuseppe Brugnoli: iniziò a commissionare le vignette ad alcuni disegnatori veronesi e quasi sempre sceglieva le mie. La collaborazione cominciò così. Per molti anni ho disegnato un’intera pagina di satira una volta la settimana. Quando fu sospesa, passai a disegnare una vignetta al giorno: Colpi di Zuc”.
Come arrivava l’ispirazione?
“Leggevo i giornali e prendevo spunto dalle notizie di cronaca. Talvolta i giornalisti mi suggerivano qualche tema, ma ho sempre lavorato in maniera autonoma”.
Quanto tempo impiegava a disegnare una vignetta?
“Mezz’ora, a volte qualche dieci minuti in più”.
Ma le veniva da ridere mentre disegnava?
“Beh, un certo compiacimento c’era”.
Qual è il politico che ha preso più in giro?
“Prendevo di mira sempre i più potenti”.
E quello che le veniva meglio?
“Direi Riccardo Ceni, titolare di Ceni Gomme e negli anni ‘90 presidente della Fiera. Lo disegnavo come l’omino Michelin”.
Chi si arrabbiava di più?
“Forse i socialisti”.
Ha avuto qualche strigliata per essere stato troppo irriverente?
“Qualcuna si. La peggiore quando il sindaco Gabriele Sboarina venne eletto al Parlamento europeo. I detrattori lo accusavano di essere assenteista e di andare a Strasburgo una volta su tre. Feci una vignetta tripla: la prima con lui seduto al banco del Parlamento mentre dormiva, la seconda mentre sbadigliava, la terza con un cartello Torno subito”.

Quando “Re Lele” si arrabbiò molto per la sua vignetta

Immagino sia stato difficile l’addio a L’Arena dopo tanti anni…
“Difficile e anche amaro. Diciamo che me ne sono andato senza sentire un grazie”.
I suoi committenti più importanti?
“Oltre a L’Arena, Mondadori, Peruzzo Editore, Il Corriere dei Piccoli, l’editore tedesco Schreiber e le veronesi Cierre e Gemma Edicto. Ho disegnato anche i ritratti di tutti i vincitori del premio 12 Apostoli”.
Oltre che un disegnatore, è anche un fotografo affermato…
“Dal 1970 mi dedico anche alla fotografia. Ho partecipato a diverse mostre nazionali e internazionali. Ho anche vinto una cinquantina di primi premi”.
Ha esposto anche a Verona?
“Nel luogo più prestigioso, il Centro Internazionale di Fotografia Scavi Scaligeri. Nel 2009 il Comune mi ha dedicato una mostra antologica: “Visioni”, 150 foto in bianco e nero e a colori, che rappresentavano tutto il mio percorso artistico. Ho avuto grandi consensi e apprezzamenti, alcuni anche commoventi, da parte di visitatori stranieri che lasciavano scritto il loro commento”.
La sua opera esposta all’estero di cui va più fiero?
“Il ritratto ad acquerello al pittore svizzero dell’Ottocento Arnold Bocklin, esposto al museo Bossuet di Parigi. L’ho dipinto a cavallo di un centauro con la tavolozza di colori in mano e, sullo sfondo, la sua opera più famosa, L’isola dei morti”.
É opera sua anche il famoso ritratto di Gheddafi a cavallo, che per anni ha campeggiato in tutta la Libia?
“Certo, è nato in tre giorni, a casa mia. Era il 1976 e una delegazione libica arrivò alla Mondadori di Borgo Venezia per stampare un libro tecnico sull’agricoltura in Libia. Avevano portato anche molte foto del colonnello Gheddafi perché volevano, al centro del libro, un ritratto a doppia pagina che sintetizzasse l’impegno del loro leader per lo sviluppo dell’agricoltura perfino nel deserto”.
E alla Mondadori chiamarono lei…
“Si perché allora lavoravo per loro. Rappresentai Gheddafi in uniforme da cerimonia, in sella a un cavallo bardato da parata (i libici mi avevano fornito la foto e i dettagli) e sullo sfondo un immenso campo di grano che sconfina nel deserto, a testimoniare del miracolo compiuto grazie alle politiche agricole del colonnello. Purtroppo la delegazione libica non volle che firmassi l’opera: resta il mio grande rammarico! La Libia non aveva bisogno di nessuno, autarchia totale. Così il ritratto venne pubblicato anonimo, doppia pagina centrale del libro. Ma a Gheddafi piacque al punto, che ordinò di riprodurlo in decine di migliaia di poster, due metri e mezzo per tre, per tappezzare l’intera Libia».
Ha mai dipinto murales?
“Sono contrario ai murales: “impicciano” le città. E poi lo stile delle scritte è uguale in qualsiasi parte del mondo. L’arte di strada, che doveva essere la massima libertà di rappresentazione, è diventata invece un manierismo insopportabile”.
Passiamo dall’arte alla vita privata. Com’è nata la sua amicizia con Milo Manara?
“Molti anni fa aveva sentito parlare di me ed era venuto a casa mia per vedere le mie opere. Uscendo si stropicciava gli occhi: diceva che aveva visto troppe cose belle! Da lì è nata un’amicizia duratura e bellissima. Posso dire di essere il suo migliore amico. Andiamo in vacanza insieme, ci sentiamo spessissimo, dormo a casa sua quando si fa troppo tardi per tornare in città. E poi ci scambiamo le opere per un giudizio preventivo”.
Ora a cosa sta lavorando?
“Ai ritratti ad acquerello dei grandi artisti del secolo scorso”. (rl).