Abusi e violenze tra le mura domestiche “Familia” è l’opera seconda del regista Francesco Costabile ispirata al libro di Lirio Abate

Dopo aver esordito alla regia con Una femmina (in streaming su Amazon Prime Video), opera liberamente ispirata al libro inchiesta Fimmine ribelli di Lirio Abbate sulle donne vittime di violenza nelle famiglie della ‘Ndrangheta, il regista calabrese Francesco Costabile ritorna in sala con la sua opera seconda, una storia di abusi e violenze consumate tra le mura domestiche, che porta però con sé anche un forte desiderio di riscatto e senso di giustizia. Familia, questo il titolo del film presentato nella sezione Orizzonti all’81ª Mostra del Cinema di Venezia e ora nelle sale, ripercorre la storia vera di Luigi Celeste, giovane romano che vive con la madre Licia e il fratello Alessandro. Sono quasi dieci anni che i tre non vedono Franco, marito e padre, che ha reso l’infanzia dei due ragazzi e la giovinezza di Licia un ricordo fatto di paura e abusi. Il film porta in scena la storia di Luigi Celeste ispirandosi al libro autobiografico intitolato Non sarà sempre così e lo fa attraverso un focus sul punto di vista della madre, Licia, così come su quello di Luigi stesso: i due sguardi si incrociano per tutta la durata del racconto, restituendo diverse prospettive non solo sugli equilibri famigliari e sulla vicenda generale, ma anche su quello che potrebbe essere definito un costante e prepotente senso di pericolo, minaccia e abuso che permea ogni singolo frame del film di Costabile, lasciando lo spettatore in un irrisolvibile limbo fatto di un’attesa di ciò che sembrerebbe essere un’inevitabile e definitivo risvolto violento. In tal senso lavorano anche la regia e la fotografia cupa, che mirano a coinvolgere lo spettatore nella condizione di costante tensione che anima i protagonisti: osservare Licia, Luigi e Alessandro dal nostro posto in sala significa dunque calarsi per intero nei loro panni, essere chiamati a risolvere un dramma dal quale sembra non esserci via d’uscita e, di conseguenza, interrogarsi sul tema della mascolinità tossica e sulle dinamiche che conducono le vittime di violenza a non denunciare, a resistere agli abusi nella speranza di poter migliorare la propria situazione senza dover essere costretti a subire altre miserie. Visto da questa prospettiva, Familia si presenta non solo come un film artisticamente elevatissimo, grazie anche a una scrittura mai forzata o stereotipata e alle ottime interpretazioni di Barbara Ronchi, Francesco di Leva e Francesco Gheghi, ma soprattutto come un’opera potentissima dal punto di vista educativo, capace di stimolare dibattiti e alimentare argomentazioni in merito a temi quali famiglia tradizionale, archetipi di mascolinità e femminilità, relazioni affettive e diritto alle libertà personali. Maria Letizia Cilea