Le recenti elezioni presidenziali negli Stati Uniti hanno riportato alla luce un elemento ben noto del tessuto politico-culturale di quel Paese, e, peraltro, nuovamente analizzato in varie testate e riviste proprio in seguito al discorso inaugurale del neo-presidente Joe Biden. Il cattolico Biden, infatti, si è mosso su un terreno che, al fondo, lo accomuna al presidente uscente, il quale aveva declinato la natura provvidenziale della “missione” dell’America e della rinnovata tensione alla “grandezza” della nazione in termini religiosi.
Naturalmente, gli Stati Uniti sono un Paese costituzionalmente laico; proprio per questo, tuttavia, destano sorpresa i rimandi alla protezione divina invocata sul presidente e sul popolo americani, nonché il rimando a “God” presente tanto nella costituzione, quanto sulla banconota del dollaro: “In God we trust”. A quale Dio si fa riferimento? Nonostante i maldestri e dannosi tentativi del precedente presidente di rivendicare una peculiarità statunitense in negativo, escludendo lo straniero, nella fattispecie lo straniero musulmano, per ragioni certo propagandistiche, politiche e per nulla religiose, la comunità dei cittadini americani è estremamente variegata dal punto di vista confessionale, molto più di quanto lo sia l’Europa. La “religione” che domina la scena politico-sociale non trova il proprio culto in templi o chiese di sorta, ma nell’immaginario e nel simbolismo veicolato dai cardini della democrazia americana.
Non è un caso, d’altronde, che l’assalto a Capitol Hill dello scorso gennaio sia stato riportato con connotati quasi sacrileghi, come assalto al “tempio” della democrazia americana, un luogo sacro nel senso forte del termine: un luogo intoccabile in quanto cuore e simbolo della coscienza americana di appartenere al più grande Paese del mondo – ideologia non solo repubblicana, ma anche democratica. È su queste basi che la tanto banalizzata “esportazione della democrazia” da parte degli Stati Uniti fonda le proprie radici, né si tratta di un atteggiamento naïf.
Al contrario, tale retorica, oltre a coprire gli interessi economici, ad esempio, delle guerre in Iraq e in Afghanistan, rispecchia una convinzione piena e inaccettabile a livello internazionale: nonostante, vista la potente opera di colonizzazione economico-culturale messa in opera dagli Stati Uniti nei confronti dell’Europa nel secondo dopoguerra, la coscienza dell’insostenibilità di questa posizione non sia diffuso nell’Occidente di area NATO, essa deve invece essere fortemente incoraggiata, come base per un confronto politico che sia percepito come paritario da tutte le parti in causa.
Effeemme