A scuola il 7 gennaio? Sì, ma, forse Il problema trasporti è il nodo da risolvere: e Veneto e Campania preferiscono frenare

Sono due milioni gli studenti delle scuole superiori italiane che attendono il ritorno in classe. Sotto accusa per la diffusione del contagio (gli adolescenti fuori dagli istituti non manterrebbero le distanze né la mascherina sul viso) e il sovraffollamento dei mezzi pubblici, sono in didattica a distanza da inizio novembre, quando l’aumento dei contagi ha costretto prima i governatori delle regioni a prendere decisioni autonome e poi il governo a fare marcia indietro anche sulla decisione di mantenere il 75% delle lezioni in presenza, con una rotazione fra gli studenti.
Il presidente del Consiglio Conte e la ministra dell’Istruzione Azzolina nelle scorse settimane erano determinati nel dare il via libera al rientro prima di Natale, ma si sono scontrati con il parere negativo di tecnici e amministratori locali. Mancano ancora alcuni dettagli, ma è molto probabile che il piano per la ripartenza della scuola sia pronto in questi giorni.
L’imperativo è riaprire il 7 gennaio in presenza per tutti, anche per le superiori seppure, come prevede il Dpcm, al 75%. Ma alcune Regioni, Veneto e Campania, chiedono che nei loro territori la percentuale scenda al 50%, almeno all’inizio. Anche se un ostacolo non di poco conto alla riapertura potrebbe essere rappresentato dalla nuova variante del virus che ha portato l’Italia a seguire la line della «massima prudenza» e a chiudere i voli da e per il Regno Unito: in questi giorni saranno effettuati delle verifiche su una eventuale diffusione della variante anche in Italia. E non sono escluse misure più stringenti. La questione trasporti Intanto il nodo trasporti, «sul quale i prefetti ci stanno dando una grande mano perché le misure devono essere territoriali», ha detto la ministra Lucia Azzolina. «Il governo è molto unito sulla data del 7 gennaio», ha tenuto a precisare Azzolina. Insomma, l’esecutivo marcia compatto sulla riapertura, «e non fa niente che il 7 sia un giovedì. Non possiamo perdere nemmeno un’altra ora – ha sottolineato la ministra che su quella data si gioca il tutto per tutto – Se lasciamo i nostri studenti a fare solo didattica a distanza è il Paese che un giorno perderà competenze. La scuola è anche motore di sviluppo economico del Paese». E ancora, difendendo il suo dicastero: «La scuola è considerata non come un’attività produttiva. Non si capisce per esempio che l’istruzione è ascensore sociale, che può migliorare e salvare le vite delle persone”.
Azzolina incassa anche il risultato di uno studio condotto dall’epidemiologa Sara Gandini e che dimostra che «non sono gli studenti i responsabili degli aumenti dei casi positivi che si sono visti un autunno. La scuola appare un luogo sicuro, non di contagio». Dati che anche la ministra va ripetendo da settimane, spingendo per la riapertura.
Nel frattempo però i presidi, come già hanno fatto i sindacati, chiedono alla Azzolina che «a tutti i tavoli provinciali coordinati dai prefetti siano invitati anche i dirigenti scolastici. Non è tempo di soluzioni calate dall’alto e soprattutto non c’è tempo da perdere – spiega Antonello Giannelli (Anp) – Solo i dirigenti scolastici hanno piena contezza delle necessità di spostamento di studenti e docenti e quindi sono in grado di proporre soluzioni ragionevoli e basate sui dati di realtà”. In realtà, il problema trasporti è il vero nodo da sciogliere. Per questo il 7 non è più una data così certa.