Arriva dall’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar un contributo importante al dibattito sull’efficacia dell’antiparassitario, spesso elencato, senza evidenza scientifica, tra i farmaci da impiegare nella cura del nuovo Coronavirus o, addirittura, come alternativa al vaccino, tanto da alimentare teorie complottiste per il suo mancato impiego e intossicazioni per uso improprio denunciate dalla FDA negli Stati Uniti.
L’ivermectina non è un’opzione per il trattamento del Covid 19, anche se utilizzata in fase precoce e con il più alto dosaggio mai usato finora sui pazienti positivi al SARS-CoV-2.
E’ stato infatti pubblicato su Preprints with the Lancet lo studio clinico di fase II “Treatment of COVID-19. COVER (COVid iVERmectin)”, coordinato dall’IRCCS di Negrar in collaborazione con l’Istituto Mario Negri e a cui hanno partecipato l’Ospedale Sacco di Milano, l’Ospedale Sant’Orsola di Bologna e l’Ospedale Covid di Rovereto.
Si tratta di un trial clinico randomizzato, no profit, in doppio cieco che ha coinvolto 93 pazienti positivi al SARS-CoV-2 asintomatici o con sintomi lievi. L’obiettivo dei ricercatori era quello di verificare se l’impiego del farmaco ad alto dosaggio somministrato precocemente portasse alla riduzione della carica virale rispetto ai pazienti che ricevevano il placebo e quindi potenzialmente alla diminuzione delle ospedalizzazioni, delle complicanze gravi e della mortalità.
“Gli studi relativi a Covid 19 e ivermectina sono tantissimi nel mondo, ma tutti hanno impiegato dosaggi relativamente bassi, incompatibili con quanto rilevato dai ricercatori australiani”, afferma il professor Zeno Bisoffi, direttore del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali dell’IRCCS di Negrar.
“Il primo risultato di rilievo è che lo studio non ha registrato eventi avversi gravi nemmeno nel gruppo con dosaggio più alto; si tratta di un dato importante anche per l’eventuale impiego dell’ivermectina in altre patologie qualora fosse necessario”, prosegue. “Tuttavia circa un terzo dei pazienti ha interrotto il trattamento prima della quinta dose a causa di disturbi lievi o moderati – sottolinea l’infettivologo -. Defezioni prevedibili perché si trattava di pazienti che seppur positivi erano in discreta salute e anche il più piccolo malessere poteva rappresentare causa di fastidio”.
Pertanto, conclude il professor Bisoffi, “i nostri risultati non incoraggiano l’esecuzione di trial clinici con questo dosaggio su campioni più numerosi e solleva grossi dubbi sul fatto che l’ivermectina possa essere un’opzione per il trattamento del Covid 19, anche ad alte dosi. I dati peraltro confermano quanto emerso dalle metanalisi, per esempio della Cochrane Review, condotte sulle sperimentazioni cliniche realizzate con metodologie rigorose e su campioni sufficientemente ampi, che nei mesi scorsi hanno portato sia FDA sia EMA a pronunciarsi contro l’uso di questo antiparassitario come terapia contro il Covid-19 in mancanza di dati solidi sulla sua efficacia”.