Le Mans ’66 – La Grande Sfida (Disney+) Dopo aver vinto nel ’59 la 24 ore di Le Mans, Carroll Shelby scopre di avere un problema cardiaco che gli impedirà per sempre di tornare in pista. Si ricicla come venditore e designer di automobili fondando la Shelby Motors, finché un Henry Ford deciso a entrare nel business delle macchine da corsa non bussa alla sua porta: l’obiettivo è vincere la corsa del ’66 con una macchina targata Ford, battendo la Ferrari per la prima volta nella storia. Presentando il progetto Ford per la costruzione delle prime macchine da corsa, Carroll Shelby dice che gli uomini più fortunati sono quelli che sin dalla nascita si sentono chiamati a una vocazione. Di destini e vocazioni si parla infatti nel film di James Mangold, che portando al cinema la storia vera della rivalità tra Henry Ford ed Enzo Ferrari ci parla di tutta l’umanità e passione che animano la costruzione di automobili, rendendone possibile il rombo. Ma c’è rombo e rombo, e la Ferrari con il suo non solo conquista trofei, ma diventa un’icona popolare in tutto il mondo: James Bond le guida nei film e le generazioni del boom economico non vedono l’ora di mettere le mani su un oggetto unico nella sua fattura. Allora il film mette alla gogna, anche ironicamente, tutto il sistema di produzione industriale, simbolo di quell’american way of life che vanta produttività a scapito della cura del dettaglio, da sempre marchio di fabbrica del sistema europeo (e italiano). Da qui lo scontro tra i titani con i loro rispettivi entourage, destinati a darsi battaglia tanto sulla pista quanto sul piano economico e personale. La stessa dicotomia si trasferisce nel microcosmo delle gerarchie interne alla Ford, che con i suoi funzionari vuole che tutto sia veloce e rispettoso dell’immagine dell’azienda, dimenticandosi di coloro che si sporcano le mani per il risultato; in questo sistema Shelby e Miles preferiscono il talento al marketing, e pur nella loro diversità di ruoli integrano una componente umana che è la vera emozione del film. Testardo e geniale, Miles è un Christian Bale stellare che ad ogni parola fa emergere la sua insofferenza alle regole di un sistema insensato. Shelby-Matt Damon, perfetto nel dosare determinazione e autocontrollo, cerca invece di capovolgere quello stesso sistema dall’interno; facce della stessa medaglia, sui loro sguardi Mangold costruisce una narrazione che si sviluppa ai poli della loro profonda amicizia e attrae tutti gli altri personaggi collaterali: dal titanico Tracy Letts nei panni di Henry Ford, al fastidioso Josh Lucas, vero volto dell’arrivismo americano. Solida ed elegante, la scrittura di Mangold è capace di offrirci un’immagine sfaccettata dell’America degli anni sessanta. 50 serrati minuti di scene di corsa dominano poi la seconda parte del film creando un gioco di inquadrature tra i due protagonisti che mai fa annoiare lo spettatore: merito dell’indubbia qualità della regia, ma anche di quel sotto-testo umano che ci ha fatto conoscere i personaggi e parteggiare per loro, preparandoci all’inaspettato ed entusiasmante climax finale. Maria Letizia Cilea