Verona assieme alla sua provincia è, di certo, una delle città che dal punto di vista culturale e paesaggistico possono offrire qualcosa di speciale. La primavera è finalmente arrivata e le località più ambite, dalla collina al lago, sono tornate ad essere prese letteralmente d’assalto. Sembra impossibile pensare, dunque, di individuare ancora, nel raggio d’azione più frequentato, una meta che possa regalare il giusto relax e al tempo stesso sappia emozionare e stupire. Eppure…
A cavallo della nostra moto, risalendo il lato orientale del Benaco, presso Castelletto di Brenzone e a due passi dalla movida lacustre, è possibile imbattersi in una realtà oltremodo suggestiva e letteralmente, per le sue peculiarità, fuori dal tempo e dallo spazio. Una perla, per così dire, che, in maniera del tutto inattesa, è in grado di sorprendere tanto l’ignaro turista, quando il veronese doc, che di conoscere in lungo e in largo il proprio luogo natìo fa di sé vanto e orgoglio. È Campo, che tra acqua, terra e cielo racchiude magiche atmosfere e sensazioni oramai quasi dimenticate.
Parcheggiato il veicolo a pochi metri di altitudine dalla Gardesana, alcuni cartelli indicano la meta e il percorso da seguire: è il momento di affrontare la salita attraverso i celebri terrazzamenti che, da sempre, contraddistinguono la zona rivierasca, e di inoltrarsi in veri e propri “boschi” di ulivi. Sì, perché qui, la coltivazione millenaria di questa pianta prosegue ancor oggi grazie alla mano sapiente di chi ama la terra e grazie ad una tradizione che, attraverso il tempo, costantemente si rafforza e si rinnova. Ci accompagnano gli odori inebrianti di fiori campestri; i colori bellissimi che sfumano in modo perfetto dall’azzurro di un cielo mai tanto limpido al verde argentato delle foglie e a quello accesso dell’erba; il sole che caldo e luminoso inonda uno scenario e un panorama sempre più maestosi… E i suoni. È incredibile come la natura faccia sentire la propria voce e avvolga tutto attorno il paesaggio in un così rumoroso e multiforme silenzio. Quasi per sbaglio, ci si imbatte in una o due case, ma la sensazione è che qui l’essere umano non possa fare veramente nulla per contaminare l’ambiente circostante. Il terreno si inerpica ancora e la temperatura, verso mezzogiorno, è allo zenit, ma la curiosità sopravanza le difficoltà altimetriche: procediamo, dunque, fra l’acciottolato e le pietre che, aguzze e bianchissime, delimitano il percorso e arriviamo, finalmente, dritti dritti all’ingresso di un borgo medioevale che, come le rovine delle acqueforti romantiche, si staglia nel nulla, solitario e imponente. Ci accompagnano un misto di incredulità e di “timor reverentialis” mentre passeggiamo attraverso gli edifici abbandonati ricoperti ormai da una natura selvaggia e da una vegetazione rigogliosa; lungo le strade deserte, a risuonare è solo il rumore dei nostri passi pesanti e il dolce fruscio di una delicata brezza. Campo, nella sua essenza, ricorda molto da vicino un’altra meta di viaggio, forse più celebre e conosciuta, ma accomunata, per certi versi, dal medesimo destino, Les Baux-de-Provence, a sud di Avignone, borgo menzionato, a sua volta, da un altro celebre cantautore italiano, il menestrello Angelo Branduardi. La differenza sostanziale risiede nel fatto che il paesino della valle del Rodano è stato oggetto di un attento e quanto mai efficace piano di restauro e rilancio. Un piano, per la verità, previsto nel 2012 anche per la gemma nostrana, ma, per un motivo o per l’altro, mai veramente andato in porto e, con il tempo, quasi abbandonato… Chissà, forse la particolarità di Campo e il suo essere piena di fascino stanno anche in questo: nel suo volersi nascondere, ma al momento opportuno apparire e stupire come solo le cose più belle e ricercate sanno fare.
Matteo Quaglia