Faceva molto freddo, come oggi. Era il 15 dicembre del ’63. Non una domenica qualunque, ma una domenica con un’ansia speciale non solo nel “popolo del calcio”. “Ancò el Verona el zuga nel stadio novo”.
C’era da “aprire” il nuovo Bentegodi. C’era il derby, Verona-Venezia. C’era ancora un po’ di neve. C’era un entusiasmo nuovo, ma pure un filo di incertezza, come quando lasci la vecchia casa e ti trasferisci. Sì, la casa è più grande, più bella, più tutto, ma…là, lasci un bel po’ di ricordi. Speranze. Vittorie. Sorrisi. “E chissà se staremo altrettanto bene…”.
LA BEFFA. La partita andò come andò. Fu una beffa. Il Venezia passò in vantaggio in avvio, quando ancora un bel po’ di gente era fuori, in fila, in ritardo. Segnò Salvemini, che “da grande” farà l’allenatore. Ma su quel gol, in effetti, c’è un “giallo” da chiarire. Segnò Salvemini, ma il giornale del giorno dopo, riporta un altro nome, quello di Dori, altro attaccante venexian. E qualche anno dopo, Lucio Mujesan, che pure era in campo e che poi passerà dal Verona, dirà “…il primo gol in questo stadio lo segnai io…”. Insomma, un mezzo mistero, anche se in reatà, l’autore del gol fu proprio Salvemini.
DELUSIONE. La gente se ne uscì “sedotta e abbandonata” dal nuovo stadio. A testa bassa, “…no ghe ‘ndemo granca stano in serie A”. Il Verona ci mise un bel po’ a vincere la sua prima partita al nuovo Bentegodi. Lo farà a febbraio, “…perché in realtà, non ci trovammo subito bene nella “nuova casa”, raccontò un giorno Pietro Cappellino, capitano di quel Verona. “Eravamo abituati al vecchio stadio, con la gente lì vicino, che ti incitava, che giocava quasi con te. Nel nuovo stadio, la gente era lontana, non fu facile abituarsi… Credo che se avessimo giocato ancora nel vecchio Bentegodi, saremmo andati in A, perchè quella era una grande squadra…”.
Lo era per davvero. Savoia, Cera, Maschietto, il portiere Ciceri, “matto” ma fortissimo. E Calloni, Cappellino, Majoli che col sinistro dipingeva calcio…
QUATTRO ANNI DOPO. Il Verona in A ci andò qualche anno dopo. Era diventato il Verona di Saverio Garonzi, di Liedholm, di Gianni Bui e delle “Torri”. E il Bentegodi diventò un “fortino”, dove si giocava, spesso, calcio-spettacolo. Ancora qualche anno e diventerà lo stadio dello scudetto, lo stadio dei sogni. Dove si sono scritte pagine indimenticabili, la leggenda di una squadra, la favola di una città intera. Oggi, sembra da buttare anche lo stadio dei sogni.
Pieno di ricordi, emozioni, “quella partita, quel gol, quell’abbraccio…”. Passa il tempo, certo. Ma che sia proprio da buttare?
Raffaele Tomelleri