Gli appassionati di letteratura dantesca si ricorderanno senz’altro il passaggio del Canto XVII del Paradiso in cui il trisavolo Cacciaguida predice al Sommo Poeta il duro esilio che lo aspetta con i celebri versi: «Tu proverai sì come sa di sale / lo pane altrui, e come è duro calle / lo scendere e ’l salir per l’altrui scale».
In verità, la profezia non è che un espediente letterario di cui Dante si serve per raccontare la drammatica precarietà in cui sta già vivendo da tempo. Quando scrive queste parole, infatti, i “salati bocconi di pane” e le “faticose scale altrui” lo umiliano già dal 10 marzo del 1302: il giorno in cui, condannato a morte dopo aver cercato di resistere alle accuse di corruzione, Dante Alighieri si vedeva costretto a lasciare la sua Firenze.
Amaramente consapevole che non avrebbe più messo piede nella sua amata città, Dante dà il via una lunga serie di spostamenti che lo portano a soggiornare in molte città, tra cui Treviso, Forlì e Verona (qui ospite di Bartolomeo e Cangrande della Scala per ben sette anni). Gli ultimi anni li trascorre a Ravenna, dove verrà sepolto nel Duomo di San Francesco nel 1321.
Al di là dell’importanza aneddotica di questo anniversario – e senza perdere di vista che senza questa vicenda non potremmo godere de La Divina Commedia – verrebbe spontaneo chiedersi come mai, a oltre settecento anni dall’esilio del Poeta, sia così importante ricordarlo proprio oggi.
E anche se la nostra memoria potrebbe rievocare i numerosi esuli della storia, a risuonare è l’agghiacciante urlo dato dai numeri dell’esodo di civili Ucraini, costretti in questi giorni ad abbandonare i luoghi che hanno fatto la loro personale storia per sfuggire alla feroce tirannia di una guerra senza senso. Due milioni – finora – di anime che vagano alla ricerca di un futuro, senza sapere se gli sarà mai più permesso di tornare a casa.
Forse potrà sembrare audace paragonare la storia di un singolo uomo in esilio a quella di un intero popolo innocente strappato alla propria quotidianità. Ma se ci concentriamo sulla figura dell’esule obbligato ad separarsi dalla propria casa per non rimetterci la pelle e, ancora, se pensiamo al fatto che la storia continua a mescolare e risputare gli stessi bocconi di pane salato addosso alla povera gente, è impossibile non vedere quanto la condizione di privazione di identità e il desiderio di rivalsa che accomuna tutti gli esiliati della storia sia in grado di creare una sorta di grande fratellanza, una popolazione dai mille colori e dai mille tormenti che, pur nelle indicibili sofferenze causate dagli oppressori, riesce a individuare al termine della notte una mano amica, guida verso un porta spalancata sulla via della rinascita. Così è accaduto per Dante – e per la sua Commedia –, così sta accadendo per la popolazione ucraina grazie ad appassionate manifestazioni di supporto e accoglienza in tutto il mondo; quasi a ricordare che nella lotta per la sopravvivenza e per la resistenza (perché «Dove che venga, l’Esule / sempre ha la patria in cor», diceva Berchet) in fondo non si è mai davvero da soli.
Martina Bazzanella